• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

"Il fascismo aveva un altissimo senso dello stato"

Parola di Romana Lombardi, organizzatrice di “Vaffa-Day”e capogruppo grillista alla Camera

di Mario Pancera

Nel 1922 il fascismo di Benito Mussolini prese il potere. Si erano avuti alcuni anni di violenze squadristiche, intimidazioni, pestaggi, assassinii. Gli ultimi mesi erano andati in crescendo. L’olio di ricino sembrava una consuetudine. Veniva fatto bere agli antifascisti. Questo era il fascismo che si presentava agli italiani come forza nuova, rivoluzionaria,  per sostituire i governi liberali, anche un po’ farabutti e molto inetti: «Tutti a casa». Era un movimento, non voleva gli altri partiti. Era contro i sindacati. Poi si trasformò, divenne anch’esso partito: voleva il potere. Sembra oggi.

È un anno da ricordare. Nel gennaio 1922 morì papa Benedetto XV, colui che aveva definito «inutile strage» l’inizio della prima guerra mondiale. A lui seguì l’arcivescovo di Milano, Achille Ratti, ovvero Pio XI, che qualche anno dopo, 1929, avrebbe firmato la conciliazione tra Stato e Chiesa con Mussolini, proprio il mangiapreti capo degli squadristi, diventati ormai padroni del paese. Avevano eliminato gli altri partiti.

Nel febbraio 1922 cadde il governo di Ivanoe Bonomi, uomo politico scialbo e incerto (tranne che sul fare la guerra in Libia!). Anche lui espulso, come Mussolini, ma per altre idee, dal movimento socialista. Mussolini, che agli inizi «tentò di non assumere nessun impegno politico ben definito», aveva fondato i Fasci di combattimento. Diceva: «Io sono per l’individuo e contro lo stato». L’anno dopo, 1923, venne ucciso il parlamentare socialista Giacomo Matteotti, che aveva osato gridare «Viva il Parlamento».

Caduto Bonomi, il re Vittorio Emanuele III convocò tutti i capi partito, Mussolini compreso. Tutti divisi, gran parte quacquaraquà. Nacque così il governo di Luigi Facta, che, come affermano alcuni storici, a molti pareva uno scherzo, perché il personaggio era «un timido e ignorante avvocato di provincia, che si era fatto avanti in politica solo per motivi di anzianità». Impresentabile. Se era uno scherzo, l’Italia lo pagò caro.

In ottobre si ebbe lo tsunami del tempo, l’onda anomala travolgente della marcia fascista su Roma. Avevano armi e manganelli. Facta chiese al re di fermarla, di alzare un argine o con lo stato d’assedio o sciogliendo il movimento eversivo. Occorrevano la spina dorsale e la conoscenza della storia. All’avvocatuccio, il re preferì il capopolo urlante. L’Italia era un guazzabuglio: povera, da poco uscita dalla guerra, ancora con un alto tasso di analfabetismo e quindi ignorante e confusa. Le donne non avevano nemmeno il diritto di voto: votavano solo i maschi.

 

Questi alcuni fatti, telegrafici. Oggi molti italiani non li conoscono, li ignorano. Così possono navigare i quacquaraquà e i prepotenti, gli sfruttatori della povertà materiale e della mancanza di istruzione. In quello stesso 1922, si trovò in crisi anche l’Azione cattolica, che aveva perso alcuni dei suoi uomini migliori. Parlo dell’Azione cattolica, perché allora la chiesa – sebbene fosse ancora aperta la cosiddetta questione romana - aveva una forte presa popolare. I parroci esercitavano sempre un influsso fondamentale.

 

L’Azione cattolica, e lo diceva anche il papa nella sua prima enciclica, in anni così difficili doveva essere uno strumento di collaborazione tra il clero e i laici. Mussolini riuscì a bloccare tutto. L’aveva previsto il giornalista cattolico Giuseppe Donati, che definiva «orde balcaniche» le camicie nere che si accampavano a Roma il 28 ottobre: «È il primo atto di una tragedia che avrà Dio solo sa quali sviluppi!», disse profeticamente a un amico.

Mario Pancera

NB. Le citazioni di questo articolo sono tratte dalla Storia d’Italia, di D. Mack Smith (Laterza), e dalla Storia dell’Azione cattolica di G. de Antonellis (Rizzoli); le notizie sulla signora Lombardi si trovano su Internet.

Parola di Romana Lombardi, organizzatrice di “Vaffa-Day”e capogruppo grillista alla Camera


di Mario Pancera

 

Nel 1922 il fascismo di Benito Mussolini prese il potere. Si erano avuti alcuni anni di violenze squadristiche, intimidazioni, pestaggi, assassinii. Gli ultimi mesi erano andati in crescendo. L’olio di ricino sembrava una consuetudine. Veniva fatto bere agli antifascisti. Questo era il fascismo che si presentava agli italiani come forza nuova, rivoluzionaria,  per sostituire i governi liberali, anche un po’ farabutti e molto inetti: «Tutti a casa». Era un movimento, non voleva gli altri partiti. Era contro i sindacati. Poi si trasformò, divenne anch’esso partito: voleva il potere. Sembra oggi.


È un anno da ricordare. Nel gennaio 1922 morì papa Benedetto XV, colui che aveva definito «inutile strage» l’inizio della prima guerra mondiale. A lui seguì l’arcivescovo di Milano, Achille Ratti, ovvero Pio XI, che qualche anno dopo, 1929, avrebbe firmato la conciliazione tra Stato e Chiesa con Mussolini, proprio il mangiapreti capo degli squadristi, diventati ormai padroni del paese. Avevano eliminato gli altri partiti.


Nel febbraio 1922 cadde il governo di Ivanoe Bonomi, uomo politico scialbo e incerto (tranne che sul fare la guerra in Libia!). Anche lui espulso, come Mussolini, ma per altre idee, dal movimento socialista. Mussolini, che agli inizi «tentò di non assumere nessun impegno politico ben definito», aveva fondato i Fasci di combattimento. Diceva: «Io sono per l’individuo e contro lo stato». L’anno dopo, 1923, venne ucciso il parlamentare socialista Giacomo Matteotti, che aveva osato gridare «Viva il Parlamento».


Caduto Bonomi, il re Vittorio Emanuele III convocò tutti i capi partito, Mussolini compreso. Tutti divisi, gran parte quacquaraquà. Nacque così il governo di Luigi Facta, che, come affermano alcuni storici, a molti pareva uno scherzo, perché il personaggio era «un timido e ignorante avvocato di provincia, che si era fatto avanti in politica solo per motivi di anzianità». Impresentabile. Se era uno scherzo, l’Italia lo pagò caro.


In ottobre si ebbe lo tsunami del tempo, l’onda anomala travolgente della marcia fascista su Roma. Avevano armi e manganelli. Facta chiese al re di fermarla, di alzare un argine o con lo stato d’assedio o sciogliendo il movimento eversivo. Occorrevano la spina dorsale e la conoscenza della storia. All’avvocatuccio, il re preferì il capopolo urlante. L’Italia era un guazzabuglio: povera, da poco uscita dalla guerra, ancora con un alto tasso di analfabetismo e quindi ignorante e confusa. Le donne non avevano nemmeno il diritto di voto: votavano solo i maschi.


Questi alcuni fatti, telegrafici. Oggi molti italiani non li conoscono, li ignorano. Così possono navigare i quacquaraquà e i prepotenti, gli sfruttatori della povertà materiale e della mancanza di istruzione. In quello stesso 1922, si trovò in crisi anche l’Azione cattolica, che aveva perso alcuni dei suoi uomini migliori. Parlo dell’Azione cattolica, perché allora la chiesa – sebbene fosse ancora aperta la cosiddetta questione romana - aveva una forte presa popolare. I parroci esercitavano sempre un influsso fondamentale.


L’Azione cattolica, e lo diceva anche il papa nella sua prima enciclica, in anni così difficili doveva essere uno strumento di collaborazione tra il clero e i laici. Mussolini riuscì a bloccare tutto. L’aveva previsto il giornalista cattolico Giuseppe Donati, che definiva «orde balcaniche» le camicie nere che si accampavano a Roma il 28 ottobre: «È il primo atto di una tragedia che avrà Dio solo sa quali sviluppi!», disse profeticamente a un amico.

Mario Pancera

 

NB. Le citazioni di questo articolo sono tratte dalla Storia d’Italia, di D. Mack Smith (Laterza), e dalla Storia dell’Azione cattolica di G. de Antonellis (Rizzoli); le notizie sulla signora Lombardi si trovano su Internet.

Parola di Romana Lombardi, organizzatrice di “Vaffa-Day”e capogruppo grillista alla Camera

 

di Mario Pancera

Nel 1922 il fascismo di Benito Mussolini prese il potere. Si erano avuti alcuni anni di violenze squadristiche, intimidazioni, pestaggi, assassinii. Gli ultimi mesi erano andati in crescendo. L’olio di ricino sembrava una consuetudine. Veniva fatto bere agli antifascisti. Questo era il fascismo che si presentava agli italiani come forza nuova, rivoluzionaria,  per sostituire i governi liberali, anche un po’ farabutti e molto inetti: «Tutti a casa». Era un movimento, non voleva gli altri partiti. Era contro i sindacati. Poi si trasformò, divenne anch’esso partito: voleva il potere. Sembra oggi.

 

È un anno da ricordare. Nel gennaio 1922 morì papa Benedetto XV, colui che aveva definito «inutile strage» l’inizio della prima guerra mondiale. A lui seguì l’arcivescovo di Milano, Achille Ratti, ovvero Pio XI, che qualche anno dopo, 1929, avrebbe firmato la conciliazione tra Stato e Chiesa con Mussolini, proprio il mangiapreti capo degli squadristi, diventati ormai padroni del paese. Avevano eliminato gli altri partiti.

 

Nel febbraio 1922 cadde il governo di Ivanoe Bonomi, uomo politico scialbo e incerto (tranne che sul fare la guerra in Libia!). Anche lui espulso, come Mussolini, ma per altre idee, dal movimento socialista. Mussolini, che agli inizi «tentò di non assumere nessun impegno politico ben definito», aveva fondato i Fasci di combattimento. Diceva: «Io sono per l’individuo e contro lo stato». L’anno dopo, 1923, venne ucciso il parlamentare socialista Giacomo Matteotti, che aveva osato gridare «Viva il Parlamento».

 

Caduto Bonomi, il re Vittorio Emanuele III convocò tutti i capi partito, Mussolini compreso. Tutti divisi, gran parte quacquaraquà. Nacque così il governo di Luigi Facta, che, come affermano alcuni storici, a molti pareva uno scherzo, perché il personaggio era «un timido e ignorante avvocato di provincia, che si era fatto avanti in politica solo per motivi di anzianità». Impresentabile. Se era uno scherzo, l’Italia lo pagò caro.

 

In ottobre si ebbe lo tsunami del tempo, l’onda anomala travolgente della marcia fascista su Roma. Avevano armi e manganelli. Facta chiese al re di fermarla, di alzare un argine o con lo stato d’assedio o sciogliendo il movimento eversivo. Occorrevano la spina dorsale e la conoscenza della storia. All’avvocatuccio, il re preferì il capopolo urlante. L’Italia era un guazzabuglio: povera, da poco uscita dalla guerra, ancora con un alto tasso di analfabetismo e quindi ignorante e confusa. Le donne non avevano nemmeno il diritto di voto: votavano solo i maschi.

 

Questi alcuni fatti, telegrafici. Oggi molti italiani non li conoscono, li ignorano. Così possono navigare i quacquaraquà e i prepotenti, gli sfruttatori della povertà materiale e della mancanza di istruzione. In quello stesso 1922, si trovò in crisi anche l’Azione cattolica, che aveva perso alcuni dei suoi uomini migliori. Parlo dell’Azione cattolica, perché allora la chiesa – sebbene fosse ancora aperta la cosiddetta questione romana - aveva una forte presa popolare. I parroci esercitavano sempre un influsso fondamentale.

 

L’Azione cattolica, e lo diceva anche il papa nella sua prima enciclica, in anni così difficili doveva essere uno strumento di collaborazione tra il clero e i laici. Mussolini riuscì a bloccare tutto. L’aveva previsto il giornalista cattolico Giuseppe Donati, che definiva «orde balcaniche» le camicie nere che si accampavano a Roma il 28 ottobre: «È il primo atto di una tragedia che avrà Dio solo sa quali sviluppi!», disse profeticamente a un amico.

Mario Pancera

NB. Le citazioni di questo articolo sono tratte dalla Storia d’Italia, di D. Mack Smith (Laterza), e dalla Storia dell’Azione cattolica di G. de Antonellis (Rizzoli); le notizie sulla signora Lombardi si trovano su Internet.