Prima di tutto il simbolo: i forconi. Si discute se collegarlo a "forca" - "simbolo di giustizia reazionaria e spesso eversiva", dichiara al "Fatto" lo storico siciliano Giuseppe Casarrubea - o più immediatamente all'arnese contadino che, agitato per ottenere diritti, in passato, ha più volte fatto tremare il padrone. Reazione o rivoluzione? Conservazione o cambiamento? Cos'è, o cos'è stato, questo movimento dei forconi che per una settimana ha bloccato vilmente (che ci vuole a isolare un'isola?) la Sicilia e che, mentre scrivo, comincia con discreto successo ad estendersi a tutto il territorio nazionale? Una risposta, la più facile e immediata dopo una lettura appena più approfondita dei fatti, si svela modificando la funzione logica da attribuire alla congiunzione "o" che sta tra "cambiamento" e "conservazione": non disgiuntiva (oppure), ma esplicativa (ovvero). È la lezione di Tomasi di Lampedusa - tutto cambi perché nulla cambi - declinata ad un 2012 che non dev'essere molto diverso, in quanto alla portata dei mutamenti, dagli anni immediatamente postunitari. Centocinquant'anni fa si trattava di cambiare casacca, dai Barboni ai Savoia, e sotto il mantello tutto sarebbe rimasto com'era: gli schiavi, schiavi; i cappelli, cappelli. Oggi, in un contesto di rimodulazione economica globale, si tratta di rivendicare il latte clientelare di una mammella atrofizzata, la cui poppata è ormai vana, inutile, perché i soldi per onorare gli accordi elettorali sono finiti. Ed ecco la reazione di un blocco di potere, al cui tavolo non è mai mancato un convitato di pietra: la mafia.
Confindustria Sicilia lo ha denunciato chiaramente: "Abbiamo evidenze di infiltrazioni mafiose nel Movimento dei forconi". D'altra parte, forme di violenza mafiosa sono state denunciate alle autorità e all'opinione pubblica da commercianti che sono stati costretti ad abbassare le saracinesche. Altro elemento da considerare è la fortissima infiltrazione della famiglia mafiosa catanese (Catania è la capitale commerciale della Sicilia) Santapaola nel settore degli autotrasporti, categoria che è stata sin dall'inizio l'anima profonda dei "forconi". Si chiama Ercolano - il nome di un noto clan santapaoliano - il proprietario della più grossa ditta di autotrasporti dell'isola, nata dal nulla. Non si spiega poi, se non con occulte connivenze politiche, il motivo per cui, al livello di ordine pubblico "si interviene sui nostri sit-in - dichiara a Liberainformazione, Cgil Sicilia - e non su un movimento che blocca l'intera isola".
Sarebbe sufficiente liquidare i "forconi" come la reazione di una cricca di matrice politico-clientelare e imprenditorial-mafiosa, che sfrutta la disperata ignoranza della moltitudine, per reclamare con violenza la conservazione dei suoi privilegi. Muove così, d'altra parte, ogni forma di autoritarismo: la violenza a garanzia dei privilegi e delle ricchezze di pochi. Nel Mezzogiorno d'Italia, questa forma di autoritarismo - mai sconfitta - si chiama mafia.
Ma c'è un altro elemento più diretto e vero da considerare per una lettura esaustiva di quanto è accaduto: la violenza, la pura violenza. Perpetrata oltre che nell'azione, anche nel linguaggio. In un contesto di ribellismo incontrollato, il forcone è sempre stato impugnato dalle pance vuote per aprire a sangue le pance piene.
Il simbolo è scelto per fare leva sugli istinti più subumani di chi, oppresso con la violenza, non conosce altro linguaggio che la violenza. Violenta è d'altra parte la grammatica del messaggio rivolto ai politici, la minaccia: o ci date quello che chiediamo (privilegi per pochi, non diritti per tutti, ovviamente) o creiamo le condizioni per una sommossa popolare violenta. Il governatore siciliano Raffaele Lombardo si è limitato a inoltrare al governo dei professori, dato che l'unica soluzione politica che è capace di attuare è la distribuzione di prebende.
C'è infine, in tutta questa storia, un elemento, forse il più grave, che deve interrogarci con vera inquietudine: il consenso che "i forconi" hanno avuto fra molti studenti siciliani, anche di sinistra con ogni probabilità, che hanno partecipato attivamente con manifestazioni e cortei. Forse è quella perpetrata contro questi giovani la violenza più grande. La violenza della menzogna, che tradisce e sfrutta la loro voglia di ribellione, non raccolta e valorizzata tuttavia da alcuna vera Sinistra. Diceva Elio Vittorini, sessant'anni fa, durante il processo a Danilo Dolci per il suo sciopero alla rovescia: "Sono siciliano e so che questa regione è una specie di India, vi è del fatalismo e vi sono delle caste, uomini come Dolci ce ne vorrebbero molti in Sicilia". Nulla, ad oggi, pare in fondo cambiato.
Febbraio 2012 Roberto Rossi
Fonte: Azione Nonviolenta
Segnalato da Angelo Levati