Un neofascista simpatizzante di Casa Pound uccide due senegalesi e ne ferisce altri tre a Firenze, la città di Balducci e di La Pira, per poi suicidarsi.
Un gruppo di torinesi da fuoco ad un campo rom per vendicare una inventata violenza sessuale.
Parlare di follia, individuale e collettiva, è sicuramente improprio.
Esiste qualcosa di profondo, di malato, nella nostra società, nella nostra cultura: non è semplicemente follia, è come se in questo ultimo ventennio berlusconiano avessimo fatto tabula rasa di paletti e punti di riferimento.
Abbiamo prima di tutto sdoganato il "fascismo", tanto che quel "divieto di costituire il partito fascista", sancito nella nostra costituzione, sembra quasi un retroterra illiberale, che si giustificava allora, ma non oggi.
Eppure la nostra Repubblica è nata proprio dalla resistenza al nazi-fascismo, che non è solo un nome, una sigla, ma si declina in riferimenti valoriali e culturali ben precisi.
Ma in questa sbornia del liberismo, non solo economico, ma anche culturale, nella quale è passato il messaggio che la vera libertà è poter fare tutto quello che uno vuole (le aziende licenziare, assumere precariamente...), con l'unico risultato di rendere possibile quello che accettabile non è.
Con il nazi-fascismo, abbiamo sdoganato anche il "razzismo", come se questo non ne fosse un elemento fondante. Abbiamo fatto diventare questa regressione culturale in cultura di governo, affidando uno dei ministeri più delicati proprio ad una forza che ha teorizzato la superiorità di una razza rispetto all'altra.
Abbiamo perso progressivamente memoria, riducendo lo stesso ricordo della Liberazione a forme retoriche, spesso svuotate di un contenuto forte.
Abbiamo smarrito la memoria e con questa la capacità di urlare dei NO, dei confini che non possono essere oltrepassati, a meno di non snaturare la stessa costituzione.
Dinanzi a questi gesti non basta più indignarsi, non bastano più frasi di retorica, occorre davvero riaffermare e declinare in maniera comprensibile i valori che stanno alla base della nostra Costituzione repubblicana.
Perché di questo si tratta: sdoganando il nazi-fascismo, abbiamo iniziato, a prescindere di quanto ancora recita la Costituzione, a tollerare l'esistenza e l'agibilità politica di movimenti nazi-fascisti.
Quando abbiamo permesso alla lega di declinare la sua cultura razzista, abbiamo tralasciato come questa fosse stata una delle pietre miliari su cui si il fascismo è diventato forza di governo.
Non si tratta solo di porre dei divieti, ma di rendere viva, attuale, palpitante i fondamenti della nostra Costituzione repubblicana.
Si tratta di mettere in atto pratiche politiche altre, che facciano memoria, ma "... Fare opera di memoria non significa infatti volgere lo sguardo indietro, per aggrapparsi ad una tradizione mummificata, ma per riscoprire le radici di un’identità, che deve essere permanentemente ridefinita. La memoria non è ripetitiva ma creativa: essa dispiega la sua energia positiva soltanto quando gli avvenimenti del passato e il deposito di istanze ad essi soggiacente, vengono rivissuti attraverso un reinvestimento esistenziale, personale e sociale" (cfr. Giannino Piana, “Attraverso la memoria – le radici di un’etica civile”, Cittadella Editrice Assisi 1998, p. 6-7).
Abbiamo bisogno di questo sforzo per contrastare quella cultura distruttiva che ci sta permeando.
Ridurre quanto accaduto a semplice gesto di uno squilibrato o di invasati ci fa perdere di vista la devastazione culturale e politica che abbiamo vissuto, impedendoci così di mettere mano a gesti, pratiche e culture che davvero vadano a incidere sulla necessità di coesione sociale e di cultura di solidarietà.
Preoccupanti anche le parole del Prefetto di Firenze, quando ha invitato la Comunità Senegalese a non farsi strumentalizzare dai "Centri Sociali", introducendo un elemento estraneo a quanto fosse accaduto, come per porre l'accento sulle possibili conseguenze di altra violenza, che non sulla violenza realmente praticata con un gesto, magari di un folle, che nasce, tuttavia, all'interno di un bacino culturale sedimentato e tollerato, che da anni teorizza il rifiuto del diverso.
Diversamente da Torino solo nelle forme, ma non nella sostanza culturale, abbiamo assistito qui alla reazione di molte popolazione di un quartiere a Massa dove era stato scelto di costruire provvisoriamente un piccolo campo Rom, per ospitare dei sinti che da anni stazionano in un quartiere.
Il drammatico è stato tuttavia il silenzio assordante delle forze politiche e culturali, incapaci di sperimentare un terreno difficile, forse impopolare, nel quale tuttavia costruire un modello di città che vogliamo costruire, che sia accogliente, plurale e fondata sui gli ultimi.
Questo silenzio è il terreno fertile sul quale si radica una cultura razzista e intollerante.
Buratti Gino
Massa, 15 dicembre 2011