Da non credente, rispetto allo spettacolo “Il concetto di Volto nel Figlio di Dio” di Romeo Castellucci messo in scena al teatro Parenti di Milano e oggetto di un forte dibattito sulla stampa e sui media, devo alzare le mani di fronte alla riflessione di un cattolico credente come Vito Mancuso (apparsa su Repubblica del 26 gennaio). Intanto Mancuso per dire la sua se lo è andato a vedere e ciò lo eleva al di sopra di tutti coloro che a destra e a manca ne parlano solo a priori, per partito preso. Il credere, l’avere fede è un atto di illuminazione, spesso il raggio colpisce superficialmente e crea degli invasati, che possono essere anche pericolosi. Tra questi credo vi siano certamente coloro che da cattolici intransigenti hanno promosso la contestazione allo spettacolo affiancati da altri, ma solo in maniera strumentale, perché penso che della religione a questi ultimi non gliene fregasse proprio niente. Poi vi sono coloro che il raggio penetra in profondità, permette loro di riflettere con onestà e serietà. Di fatto li illumina da dentro e te ne accorgi dalla loro serenità che si mostra in vari aspetti sia di stato d’animo, sia di comportamenti, sia di giudizio che permettono di capire come l’intransigenza non dovrebbe proprio essere una qualificazione della religione. È il caso credo di Mancuso che, chiaramente dal suo punto di vista, con grande ponderazione ha spiegato: 1) la libertà di espressione è insindacabile e ciò vale sia per l’autore che per i suoi spettatori, o lettori, etc.; 2) l’opera non gli è piaciuta dal punto di vista artistico tanto da definirla mediocre per essere senza movimento e con un testo ripetitivo; 3) l’opera non è blasfema in quanto non è religiosa perché per esserlo non basta che contenga elementi biblici, più propriamente è antireligiosa, le manca in effetti e quindi travalica l’affidamento, cioè la fede; 4) l’opera è un addio disperato al concetto di volto dell’uomo, e quindi di Dio, che invece lui ritiene d’importanza vitale sia per la nostra umanità interiore sia per la nostra civiltà. Conclude alfine che un cattolico non deve comunque sentirsi né offeso né tanto meno vilipeso.
Ad essere severi gli si potrebbe forse rimproverare quel giudizio artistico che poteva risparmiare, o meglio tenere per sé. Ma a farlo contraddirei l’assunto sulla libertà di espressione su cui sono più che d’accordo e poi in fondo metterei in dubbio la sua onestà di intenti che è cosa che non voglio assolutamente fare. Svelerei in definitiva solo la mia piccola malignità che avrebbe come unica giustificazione il fatto che io sono ancora in preda al maligno, dato incontrovertibile in quanto confermo che non ho ancora ricevuto finora, purtroppo, l’illuminazione, cioè la fede.
Di fronte alla serenità del credente Mancuso, meglio, molto meglio davvero, da non credente, arrendersi, che non sia il primo giusto passo!
Massimo Michelucci - Massa