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L'ex capo dello Stato: se la Chiesa proclamasse un obbligo di scelta distruggerebbe il cattolicesimo parlamentare

di VITTORIO RAGONE ROMA –
(La Repubblica del 15 febbraio 2006)


Un altolà senza sfumature al cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti come Pacs. Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre nobile del centrosinistra, non è contrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e teme la "distruzione" del cattolicesimo parlamentare se la Cei dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In sessant'anni - dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe avventure Ruini dovrebbe avviare "un ampio esame" dentro l'assemblea dei vescovi.

Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma assumerà il "non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste "vincolanti" per i politici cattolici?
"La Chiesa, pure nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in sessant'anni interventi che ponessero a un bivio obbligato i parlamentari cattolici. Io confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l'assunzione individuale delle responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una inutile pattuglia, e l'effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato".

Il centrosinistra non drammatizza troppo l'iperattivismo vaticano? È vero che è stato l'Avvenire a citare Pio IX, ma dall'altra parte si invoca il Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come anche lei fa, il naufragio del cattolicesimo politico. Eppure gli scontri tra l'etica cattolica e quella laica, condivisi e alimentati dalla Chiesa, in Parlamento e fuori non sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio, l'aborto, i referendum. Grandi asprezze, ma alla fine siamo tutti qui, comprese le leggi soggette ad anatema.
"Vede, io sono nella vita politica da 61 anni, dalla Costituente. È vero, abbiamo attraversato come parlamentari cattolici momenti faticosi, difficili, prese di posizione delicate. Ma già dall'Assemblea costituente fu preminente in tutti la ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento d'eccezione, la Carta, del quale dobbiamo ringraziare i grandi nomi che resero un tale servizio al popolo italiano: penso, nel mondo cattolico, a De Gasperi, a La Pira, a Dossetti, più tardi a Aldo Moro e a tantissimi altri rappresentanti del popolo. Il grande tema per noi cattolici era fare sintesi fra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre con grande rispetto per le impostazioni altrui. L'articolo 67 della Costituzione stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e dell'aborto, che lei cita, in entrambi i casi il partito mi diede incarico di parlare ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e ne ringrazio la Provvidenza, che nell'uno e nell'altro caso ebbi ascolto ampio, proprio dagli avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu detto - ma apprezzo lo sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio qualcuno in assoluta buona fede sostenne che non potevamo collaborare a formulare gli articoli della legge perché così facendo avremmo aiutato un istituto che contestavamo. Ma giustamente vinse la tesi che quando cade l'affermazione di un principio rimane sempre il dovere di lottare per il male minore".

Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto reciproca non è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo della tensione.
"Non solo. C'è anche un altro insegnamento. La chiarezza delle posizioni della Chiesa, e il risultato del referendum che diede ragione alle tesi contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non impedirono che tanti cattolici si servissero poi dell'istituto del divorzio. Ne è prova che da anni all'interno della gerarchia ecclesiastica si discute sull'ammissibilità dei divorziati ai sacramenti".

L'invito al pragmatismo, per tornare a Ruini, onestamente oggi non sembra avere grandi chance. La grandinata vaticana - da Avvenire a Sir, dall'Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia grandi margini alla mediazione.
"La profonda devozione e ubbidienza alla chiesa madre e maestra - e mi piace ricordare che fu la saggezza di Giovanni XXIII, oggi beato, a dare nella sua enciclica questa preminenza alla maternità della Chiesa - mi fa confidare che il richiamo che è stato annunziato, e che manifesta un diritto e anche un dovere della Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la forma di una imposizione".

Il fronte dei sessanta parlamentari della Margherita che difendono i Dico non ha un gran futuro, se l'intervento di Ruini dovesse trasformarsi in un vero e proprio precetto. Non crede?
"Un atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono convinto".

Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del centrosinistra: quale potrebbe essere una contromisura per far prevalere la moderazione?
"Posizioni da parte della Chiesa che portassero a conseguenze tanto pesanti, così come non si sono verificate neanche quando furono compromessi l'indissolubilità del matrimonio e il diritto alla vita, richiederebbero a mio avviso un ampio esame nell'Assemblea dei vescovi italiani, la Cei".

Nel merito della legge, come giudica la soluzione Dico "inventata" da Bindi e Pollastrini?
"Mi piace ricordare che quando il presidente del consiglio Romano Prodi annunziò nella formulazione del programma il desiderio di riconoscere dei diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò espressamente che con quel programma prendeva l'impegno di non toccare o turbare l'istituto del matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi pare giusto non fare processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono state presentate da posizioni a mio avviso non accettabili sono giunte con non poca fatica (quanto intensa quella del ministro Bindi!), in questo necessario dialogo tra impostazioni diverse, a un testo che come tutti i testi è indubbiamente migliorabile ma che certamente non prevede - per essere chiari - il matrimonio fra gli omosessuali o una formula mascherata ma simile. Si tratta di dare eventuali, maggiori garanzie? Se ne può discutere, rimanendo chiaro un punto: se al dunque si fosse richiesti di un voto esplicito che preveda di fatto il matrimonio per gli omosessuali, allora, senza bisogno di disturbare la dottrina della chiesa cattolica, è chiaro che un voto a favore non si può dare perché in contrasto con una realtà di storia dell'umanità, che prevede per il matrimonio un maschio e una femmina".

Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un simbolo e uno spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa sembra temere nella sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili, innanzitutto eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su cui si fonda la sua dottrina.
"È vero, c'è chi obietta che aprendo una seconda strada si dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità di un'altra scelta. La preoccupazione della Chiesa è più che condivisibile. Ma il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede, in modo che sappiano scegliere secondo i principi nei quali credono. Più che allo Stato, al quale si chiede di impedire una duplice strada che consentirebbe gli abusi, il tema è affidato alla evangelizzazione e alla formazione dei fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando speranze, desideri e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per individuare quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono".

(15 febbraio 2007)

Questa espressione, lanciata da don Primo Mazzolari in aiuto dell’uomo, oggi fa più paura di ieri

La rivoluzione cristiana di don Primo Mazzolari era, ed è, molto semplice: seguire il Vangelo. Per il Vangelo i poveri sono poveri, i ricchi ricchi, i prepotenti prepotenti, la guerra è guerra, la pace pace, Dio e il nostro prossimo sono da amare, e così siamo da amare noi stessi come figli di Dio: non si possono fare confusioni. Anche in maniera così telegrafica alcuni punti di partenza di questa rivoluzione risultano chiari, non c’è bisogno di distinguo. La parola «rivoluzione» al nostro animo borghese incute paura: figuriamoci, fa già paura la parola «dialogo». Cambiare sì, quando è necessario, ma con calma. Con tanta calma che, poi, non cambia nulla.
E l’ispirazione cristiana? Per spiegarmi, posso servirmi soltanto delle parole di Mazzolari. Ai poveri è sempre stato rubato tutto, per questo sono poveri. Non gli si dà nemmeno la parola. A molti esseri umani vengono a mancare le attese della vita fin dal primo giorno che vedono la luce: naturalmente, non sempre la causa è della mano dell’uomo; ma a questi «poveri nati» siamo obbligati a dare ancora di più e non ci riusciamo (ci riescono alcuni santi). È tutt’altro che facile, dunque, essere rivoluzionari cristiani. Rapinare il cibo, le speranze, la vita al nostro prossimo, invece, è facile. Non si è catastrofisti se lo si ricorda: del resto, ne abbiamo conferma ogni ora su tutti i giornali, le radio e le tv. «I beni che sono prima di noi e senza di noi, appartengono all’uomo, costituiscono il patrimonio dell’uomo», scriveva il parroco di Bozzolo nel gennaio 1949. Usciti da poco dalla seconda guerra mondiale, senza le informazioni planetarie che abbiamo oggi, la frase era tanto naturale da sembrare ovvia o poetica e, comunque, da non farci tanto caso. È invece fondamentale, come il primo articolo di una Costituzione umana globale: «Questo per un senso di naturale rettitudine». In realtà, questo senso di naturale rettitudine non c’è: i beni che sono prima dell’uomo e ci sono senza la necessità del suo lavoro oggi costituiscono il patrimonio soltanto di qualcuno, che tutti gli altri pagano. Sono stati rubati: terra, aria, acqua.

Il fatto è questo: una volta rubati (anche nel concreto quotidiano, e cioè nelle città, nei paesi, a Milano come a Napoli, a Palermo come a Torino) vengono rivenduti, e quelli che sono i legittimi proprietari devono riacquistarli pagandoli con un lavoro straordinario. I ricchi espropriano i poveri. Ecco un motivo - il furto - per cui i ricchi sono ricchi e i poveri restano poveri: la sopraffazione è evidente, eppure sul piano pratico, molti che si dicono cristiani stanno dalla parte dei sopraffattori. Ed ecco un motivo per cui l’espressione rivoluzionaria mazzolariana fa paura a gran parte dei cristiani. Con la sopraffazione si costituiscono le caste. Il Vangelo resta chiuso. Mazzolari? Un poeta.

«Se poi uno ha la grazia di credere in Dio», precisava il sacerdote, «scorge in tali beni una così chiara indicazione, che ci vuole dell’improntitudine per dire: "questo, Dio l’ha dato a me e non ad altri», quando gli altri sono milioni e milioni e non hanno né casa, né pane, né vestito. Nel Vangelo e nell’insegnamento della Chiesa non si trovano le pezze giustificative di così blasfema destinazione dei beni terrestri[...] »

Via tutti i ladri privati e pubblici, soprattutto questi ultimi che, invece di frenare la corruzione privata, la alimentano a dismisura. E tra gli amministratori pubblici che vendono ai privati i beni che Dio ha dato a tutti, migliaia si dicono cristiani, si professano cattolici. La «rivoluzione cristiana» è allora uno scandalo: da rivoluzione spirituale diventa chiaramente anche una rivoluzione sociale e politica, non basta più parlare nei confessionali, ma occorre parlare nelle piazze. Poiché il suo invito alla rivoluzione fa paura, il poeta Mazzolari diventa il sacerdote stravagante, colui che vien fatto tacere.

Mario Pancera

Giovedì, 27 dicembre 2007

di Sergio Paronetto (Pax Christi)

Cari amici,
il dibattito sui luoghi di culto per gli islamici ad Oppeano di Verona, a Verona (e  in tante realtà ormai) sta diventando logorante e pericoloso. A mio parere, alcuni amministratori e cittadini sembrano spinti da una sorta di "ipergarantismo unilaterale compulsivo", orientato ad limitare l'esercizio di diritti fondamentali "non negoziabili", che non possono essere subordinati alla percezione (instabile) di una comunità impaurita e mobilitata spesso ad arte.

"Vogliamo un'Italia pulita, una cristianità viva"

Così don Mazzolari nel 1949. Oggi, dopo sessant’anni, «ci veniamo sporcando sempre di più»
di Mario Pancera  
«Tra coloro che si adoperano di fare "del tanto peggio il tanto meglio" e coloro che compulsano le statistiche per vedere se qualche cosa s’avvia, stiamo con quelli che, tra difficoltà di ogni genere, si sforzano di risalire la corrente», affermava don Primo Mazzolari su «Adesso» del 1° marzo 1949: sessanta anni fa.