• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ricerca documenti

Affrontare il problema della democrazia e della partecipazione

Costruire l’alternativa a questo governo ponendo al centro la democrazia e la partecipazione (Buratti Gino)
Il pericolo più grosso, sia per le persone che per i popoli, è smarrire la propria memoria storica, perché su quella si costruisce, giorno dopo giorno l’identità. Recuperarla, abitandola nuovamente, significa mettere in atto un processo che non è di conservazione, ma è la linfa che accompagna il nostro costruire il domani.
Il contesto culturale nel quale viviamo, vuoi per le profonde accelerazioni del nostro quotidiano, vuoi per questo continuo essere avvolti da messaggi leggeri, che ci sfiorano e ci contagiano, senza permettere di osservarli a lungo, di farli propri, di elaborarli e di sviluppare un approccio critico ed autonomo, favorisce, in qualche misura un oblio, che diventa, quanto mai preoccupante, se pensiamo ai messaggi che noi adulti proponiamo ai ragazzi.
Questo oblio, che è sociale, politico e storico, aiuta tutte le forme di revisionismo che si fondano su processi semplicemente di rimozione: mentre l’abitudine a rivisitare la propria storia comporta una continua tensione ad attualizzare, stabilendo un collegamento stretto tra il presente e il passato, mentre costruiamo il futuro.
Uno di questi aspetti, oggetto di oblio e revisionismo, è sicuramente il fascismo e l’antifascismo: la storia del nostro paese è terribilmente recente, però nasce come processo di unificazione che ha visto la necessaria riduzione del potere dei singoli stati e dello stato pontificio, quasi in una sorta di affermazione della separazione tra stato italiano e potere temporale della chiesa. Questa stessa storia passa per le prime conquiste sociali e per il baratro della dittatura fascista, dalla cui sconfitta nasce questa nostra repubblica.
La premessa antifascista non è una norma transitoria, ma è un elemento fondante della nostra repubblica. Ovviamente, come tutti i processi storici sui quali si forma una identità, anche il concetto stesso di fascismo deve essere rivisitato.
Fascismo e autoritarismo, nella loro diversità, si accompagnano anche nei nostri tempi, assumendo forme e contenuti diversi dal passato, che però hanno sempre a che fare con una trasformazione riduttiva degli spazi di partecipazione, come processo culturale, ancor più che istituzionale, ma proprio per questo quanto mai pericoloso.
Per questo motivo credo sia necessario porsi concretamente il problemi dei venti di autoritarismo che stiamo respirando, nella convinzione che un’alternativa a questo governo nefasto debba costruirsi non solo sui programmi, ma anche rielaborando ed esplicitando con chiarezza i contorni culturali e ideali (non avrei paura nemmeno ad usare il termine ideologico) nel quale la proposta di alternativa si colloca, e quanto, in questa cornice, assume importanza la partecipazione e il protagonismo sociale.
In questo orizzonte, un tema che non può essere eluso nel momento in cui ci accingiamo a costruire questa alternativa, è quello della democrazia, perché, proprio su questo terreno il berlusconismo e le culture fasciste che l’animano, hanno prodotto, spesso in maniera subdola, ferite profonde e laceranti.
In questo vortice di “nuovismo” in cui tutti noi siamo precipitati, abbiamo assistito ad una progressiva mutazione genetica, indotta scientificamente da una cultura che mi viene spontaneo chiamare fascista, dell’idea stessa della democrazia, e della politica.
Una mutazione che è penetrata all’interno della società, plasmandosi con quel pensiero unico all’interno del quale il senso critico e l’autonomia di pensiero hanno sempre meno spazio di cittadinanza: in qualche modo, purtroppo, questo contagio ha investito anche settori del centro-sinistra.
Pensare ad un’alternativa a questa cultura significa ripensare il modello di democrazia che si è andato strutturando, rivisitando gli elementi che costruiscono un’idea di partecipazione, di politica, di trasparenza e di servizio nella pratica quotidiana.
Non si tratta di contrapporsi ad una persona (Berlusconi), ma ad una cultura ampia e diffusa, espressa dalla maggioranza che lo sostiene, nella quale idee fasciste e razziste si saldano a quelle degli interessi forti.
I recenti avvenimenti della Valle di Susa in tal senso sono quanto mai emblematici e significativi: non si tratta soltanto della violenza gratuita messa in atto dalle forze dell’ordine (su disposizioni, mi pare evidente, del Ministro dell’Interno), ma anche della non-considerazione dell’altro, dell’incapacità, per altro perpetuata negli ultimi quindici anni, ad ascoltare le posizioni dell’altro.
Una concezione del governo e della politica incapace di mescolarsi con le differenze, ridotta semplicemente a misurarsi sui rapporti di forza elettorali. La cultura fascista che si insinua tra le pieghe delle istituzioni e del governo, riduce il tutto a semplice decisionismo, ma trova le sue radici anche in quell’idea di efficienza, che spesso ci ha portato a ritenere che il politico debba essere prima di tutto un tecnico, e non un esperto che vive nelle contraddizioni della società, capace di porsi in ascolto, di avere il piacere di sentirsi attraversato anche da dubbi, e di percorrere un sentire che lo aiuti a coglierne le domande. Quante volte abbiamo sentito l’espressione “legittimati dal popolo”, come se una scheda gettata nell’urna fosse semplicemente una delega in bianco, e non un mandato a dialogare, ancor prima che governare. Quante volte abbiamo assistito in questi ultimi anni alle esternazioni del Capo del Consiglio il quale, credo volutamente, storpiava o ignorava il nome di un avversario politico: questa è la negazione dell’altro, dell’alterità, il suo misconoscimento, il non essere portatore di alcuna verità. La cultura fascista è l’affermazione manichea del bene e del male, e, guarda caso, trova una sua legittimazione ideologica con i neoconservatori americani.
Questo è il vero fascismo che sta avanzando, non più quello delle catene e delle spedizioni punitive (sebbene in molte città stiano tornando in auge) che abbiamo conosciuto quando eravamo ragazzi, o dei pericoli di autoritarismi militari, ma un processo che è diventato cultura, che si insinua in maniera subdola all’interno del contesto sociale (ed i media hanno una responsabilità non indifferente), mascherato dalla faccia di una democrazia formale, che richiede passività e non protagonismo sociale, che si appoggia ad una delega in bianco data solo nell’istante elettorale.
Un fascismo che abbraccia le coscienze, le vuole passive, annientandone il senso critico... un fascismo che, coerentemente, criminalizza ogni grido di protesta.
Se la democrazia è stata ridotta a ciò da questo processo politico e culturale, credo che sia veramente indispensabile disegnare un altro percorso che rimetta in moto protagonismo sociale, voglia di esserci, voglia di pensare e capacità di senso critico... ma per fare questo dobbiamo pensare ad una politica fatta sempre meno di certezze e sempre più di capacità di confronto.
Dobbiamo accettare e fare nostra la sfida di essere in campo, capaci di sguardi diversi e di accoglienze reali... ma per fare questo dobbiamo veramente rivisitare l’idea, che lentamente si è costruita al nostro interno, sia della democrazia che della politica: ma dobbiamo essere capaci di riuscire non solo ad ascoltare quelle grida, ma auspicare che si moltiplichino, perché esse non sono solo l’espressione di un disagio, ma la testimonianza di una vitalità sociale, di voglia di protagonismo, di senso critico che vive, di volti che osservano, scrutano e valutano.
Solo così riusciremo a rendere visibile una cultura realmente alternativa a quella della destra, segnando veramente la differenza e superando quel rischio di omologazione che è presente.
Proporre il tema della democrazia come centrale, significa interrogarsi sui modi e sulle forme di partecipazione, significa affrontare quelle culture che hanno favorito e rafforzato un sentimento di non-partecipazione e quindi un sentimento anti-democratico.
Significa, innanzi tutto, avere la capacità di rileggere e rivisitare le proprie idee di democrazia, ampliandole e non riducendole, passando da quella cultura della democrazia dei numeri e delle rappresentanze, ad una democrazia reale, frutto di partecipazione, motore stesso che alimenti il protagonismo sociale, ma vivendo questo processo all’interno della memoria storica, attingendo da essa, senza operazioni di rimozione.
Dobbiamo esaltare, rispetto a quanto spesso inculcato in questi anni, i tempi diversi della democrazia rispetto a quelli dei Consigli di Amministrazione, perché la democrazia ha bisogno vitale del dialogo e del confronto, ed ogni cultura che nega la diversità soffoca le istanze di democrazia... ma è necessario che questi tempi maggiori vengano riempiti o saturati con pratiche di ascolto e di confronto.
Se non ci sono le condizioni di dialogo, bisogna fermarsi, interrogandosi sulle condizioni che lo impediscono... perché ogni decisione importante deve avere il massimo della condivisione, a meno che non sia nostro interesse procedere per contrapposizioni.
Nel di battito del centro-sinistra io non ci vedo questa attenzione: per cui ancora una volta discuteremo delle scelte da fare, ma non delle forme e dei modi con le quali, arriveremo a quelle decisioni e le adotteremo.
Se non si affronta questo ancora una volta sarà vincente questa cultura fascista, che vuole le persone come oggetti di un governo, e non come soggetti e protagonisti attivi di ogni fase, portatori di valori, animatori di senso critico e autonomo rispetto al pensiero dominante.
Dinanzi alle scelte di questo governo di modificare i riferimenti comuni e le regole del gioco semplicemente in una logica di maggioranza (controriforma della Costituzione e modifica della legge elettorale), dobbiamo contrapporci mettendo in campo un’idea “altra” di democrazia, all’interno della quale le nostre scelte politiche diventano trasparenti e coerenti.
La lotta che si apre davanti a noi sulla controriforma Costituzionale, deve diventare un’occasione per rivedere e sperimentare un’idea diversa di democrazia, se la releghiamo ad un solo impegno per l’urna rischiamo di essere perdenti. Dobbiamo condurre un’azione alta, capillare, intensa... che sia momento di crescita e non solo di ottenere un risultato... perché dobbiamo sconfiggere la cultura, che è diffusa nella società civile, che sta dietro a questo progetto delle destre.