Ben ci sta. Ce li siamo meritati. Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana sono il biglietto da visita ideale della destra che assume la guida dei due rami del Parlamento. Ideale, perché solo gli smemorati potevano credere alla favoletta della “morte delle ideologie”. Il nazionalismo è vivo e vegeto, semmai è l’internazionalismo a non passarsela troppo bene in tempo di guerra. Neanche vorrei che drammatizzassimo, eccitando gli smidollati che scrivono sui muri minacce di morte al cuore nero ’Gnazio che se la ride a passare per vittima (“non rinnego la mia storia”) bene inserito com’è da decenni nei palazzi del potere e nell’italica dolce vita. Uomo di mondo, non farà certo peggio della Casellati. Quanto al leghista vandeano Fontana, dov’è la novità? Ce la siamo forse dimenticata Irene Pivetti che da presidente della Camera partecipava alla messa di riparazione del Circolo Lepanto contro l’inaugurazione della moschea di Roma?
Se una lezione dobbiamo imparare tutti quanti – a cominciare dagli elettori che han voluto al governo questa destra – è la fastidiosissima, ma proprio per questo preziosa lezione di storia che ci ha impartito giovedì scorso Liliana Segre: per quanto si affannino in tanti a sostenere il contrario, incombe su di noi un passato che non passa. Imprescindibile, perché non può esistere una democrazia senz’anima. È talmente vero, che Giorgia Meloni ha sentito il dovere di commemorare il rastrellamento del ghetto di Roma riconoscendone la matrice non solo nazista ma anche fascista. Un ricordo che brucia per-ché circa la metà degli ebrei italiani deportati nei campi di sterminio furono catturati dai loro concittadini in camicia nera, già colpevoli nei vent’anni precedenti di innumerevoli omicidi politici e persecuzioni degli oppositori. Ancora un piccolo sforzo e forse Giorgia Meloni la smetterà di accusare di “torcicollismo” chi le chiede di fare i conti con le origini del suo partito. L’occasione le si presenta fra pochi giorni, il 28 ottobre, centesimo anniversario della marcia su Roma. Potrà ignorarlo, da presidente del Consiglio?
Le ideologie non sono morte.
La malapianta del fascismo germoglia un po’ dappertutto nel mondo contemporaneo in forme nuove, ma i suoi slogan nazionalistici derivano da quelle stesse radici che si pretenderebbero estinte. Ben diversamente la sinistra si è dedicata da decenni a fare i conti con le pagine oscure del totalitarismo comunista: convegni, autocritiche, scissioni, solenni gesti riparatori. Ne abbiamo le biblioteche piene. Ora, chiedetevi perché Fratelli d’Italia non abbia programmato alcun momento pubblico di riflessione sull’ascesa al potere di Mussolini. Né risulta alcun intellettuale di destra che nel 2022 abbia pensato di dedicare un libro al centenario della marcia su Roma e tanto meno all’operato del post-fascismo italiano dal 1945 a oggi. Siamo in presenza di una vera e propria autocensura, accompagnata dalla raccomandazione di non lasciarsi più sfuggire esibizioni nostalgiche. Una delle spiegazioni di questo silenzio va ricercata nel ruolo mai dichiarato ma importante, e ormai documentato dagli storici, che Usa e Regno Unito delegarono alla destra italiana, ai suoi uomini bene inseriti negli apparati dello Stato, quando a Washington e a Londra apparve prioritario industriarsi per sventare il “pericolo comunista”. Lì ebbe origine l’atlantismo del Msi cui Giorgia Meloni si richiama. Ma sempre lì, indicibile, andrebbe riconosciuta la partecipazione attiva e ben protetta di esponenti altolocati della destra missina a pratiche eversive – stragi e preparativi di colpi di Stato – che hanno insanguinato l’Italia fino ai primi anni Ottanta. Su queste vicende sarebbe interessante sapere che ricordi abbia il presidente del Senato che propone di onorare insieme Almirante e Pertini, Rauti e Terracini.
Altra cosa è la tradizione clericale di Lorenzo Fontana (ben più solida del nazionalismo posticcio di Salvini) discendente
dalla dottrina reazionaria di religione di territorio; espressione di un localismo veneto-padano che ancora s’illude di trovare nel cattolicesimo preconciliare l’antidoto al detestato multiculturalismo. Incarna una pulsione minoritaria nella società italiana, sicché verrà prevedibilmente tenuta a bada da una leader accorta qual è Giorgia Meloni. E però prepariamoci: anche su questo fronte infurierà lo scontro ideologico che al governo di destra - visti i suoi ristrettissimi margini di manovra in politica estera e in materia economica - conviene esasperare. Da un po’ di tempo ci sentiamo ripetere che conviene lasciar perdere antifascismo e diritti civili perché si finisce per fare solo il gioco della destra. Lo so anch’io che sarà sulla giustizia sociale, a cominciare dalla difesa del Reddito di cittadinanza, che si misureranno i futuri rapporti di forza. Ma se rinunciassimo alla battaglia per l’egemonia culturale, lasceremmo campo libero ai La Russa e ai Fontana.
Fonte: Il fatto quotidiano del 18 ottobre 2022- https://www.ilfattoquotidiano.it/