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I diritti non sono monetizzabili (neanche dai tecnici)

Strano davvero che in un Paese in cui l’articolo 1 della Carta Costituzionale recita che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” si possa dire che «le aziende non assumono perché non possono licenziare». Strano, perché si ha l’impressione che questa sequenza di parole suoni come un paradosso, che ci sia qualcosa che non torni… Sarà che siamo un Paese che ha vissuto grandi battaglie sindacali in difesa dei diritti dei lavoratori, conquistando traguardi importanti di tutela, uno tra questi l’articolo 18, oggi tanto discusso che – occorre dirlo – non impedisce alle aziende di licenziare, prevede semplicemente il diritto del lavoratore licenziato ingiustamente o senza motivo di essere reintegrato dal giudice, qualora quest’ultimo riconosca l’illegittimità del suo allontanamento.
E allora cos’è questo “diritto di licenziare” di cui tanto si parla? E com’è che può essere riconosciuto come principio a favore delle aziende, senza che esista, dall’altra parte, un corrispettivo diritto che tuteli il lavoratore da un’eventuale arbitrarietà? Occorre avere il coraggio di dire che è questo che si vuol cancellare: la possibilità del reintegro. La possibilità di avere giustizia quando manca la “giusta causa”. Si vuole sostituire il diritto al reintegro con un’indennità pecuniaria.
Ma a noi i quasi 42 anni di vita dello Statuto dei lavoratori hanno insegnato una cosa fondamentale: i diritti non sono monetizzabili (neanche dai tecnici). I diritti non si svendono. E quando vanno a ledere i diritti di altri, non si chiamano più diritti, si chiamano privilegi.

ComboniFem - Redazione Newsletter Suore Comboniane
Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane n. 12/2012