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Il conto, prego! (Geries Koury)

Intervista a Geries Koury, palestinese di nazionalità israeliana, teologo cristiano che vive in alta Galilea pubblicata sul  n. 71 di "Bocche Scucite. Voci dalla Palestina occupata".
Migliaia di civili morti e feriti. Decine di migliaia di case distrutte.
Scuole, ospedali, ambulanze inutilizzabili. Panico e orrore. Vite segnate per sempre dal trauma e dalla paura. Sì perché anche i bambini e gli adulti palestinesi forse provano paura quando non un qassam, ma un intero sofisticato arsenale di guerra vomita loro addosso tutta la sua potenza distruttiva.
Il conto prego. I politici israeliani hanno presentato ai loro elettori il risultato dei loro sforzi bellici, della loro intensa "attività" militare, delle loro operazioni "difensive", dei loro "obiettivi kasher", ossia idonei, come li ha chiamati Amira Hass.
E il conto, o il conteggio dei seggi, è arrivato. Tutti, o meglio: tantissimi a destra. Tanti all'ultra destra. E tanti a quella "sinistra" di Barak che certamente ha appoggiato e perseguito con forza il massacro di Gaza. Perché la sicurezza propria può anche calpestare la pace.
Perché sembra impossibile evidentemente alla maggioranza degli elettori israeliani procedere sulla strada del 'rischiò della pace. Meglio usare ancora e unicamente il linguaggio del più forte militarmente.
Meglio chiudere la strada a qualsiasi negoziato. Come se il dialogo fosse espressione di debolezza. Nemmeno le "gentili concessioni" sono considerate alternativa all'uso della forza.
Eccoci dunque.
Abbiamo chiesto al nostro amico Geries Koury, palestinese di nazionalità israeliana, teologo cristiano che vive in alta Galilea, di scrivere con lui il nostro editoriale (Bocche Scucite - n. 71 del 15 febbraio 2009 - https://www.aadp.it/documenti/2009/doc609.pdf).

Ad un israeliano chiediamo prima di tutto quale gruppo o persona egli si senta di considerare un valido interlocutore per la pace.
"Purtroppo- risponde Geries - tra i nuovi eletti è impossibile individuare qualcuno che si possa definire seriamente impegnato nel processo di pace. Sono politici che appartengono tutti all'area che fa riferimento alla destra e all'estrema destra. Definiscono l'occupazione "liberazione della loro terra", sono convinti che gli insediamenti abbiano piena ragione di esistere e considerano Gerusalemme capitale unica e indivisibile del solo Stato d'Israele. Non nutro per questo grandi speranze nella pace se questa dovrà dipendere dal governo israeliano."

È sfiduciato, Geries, ma combattivo e fiero, quando risponde alla domanda d'obbligo da rivolgersi a chi, come lui, vive in Israele come cittadino di serie b, come uomo a cui Lieberman vorrebbe chiedere giuramento di fedeltà allo Stato ebraico. Lui, che in quella terra ci è nato durante la Nakba e che ha visto parte della sua famiglia espulsa da quella stessa terra, lui cristiano impegnato nel dialogo interreligioso, cosa mai può provare di fronte ad uno come Lieberman, giunto recentemente dall'ex Unione sovietica in una terra sconosciuta, di cui ha dovuto imparare la lingua e la geografia, ma che sente talmente sua da ipotizzarne un transfer per chi come Geries ci ha abitato da sempre?
Perche l'unico modo per vivere in pace secondo Lieberman è che sia realizzata "la massima separazione tra i due popoli" (L'Unità 14 febbraio) e quindi, se uno per sbaglio è nato dove la sua famiglia viveva da sempre, ma non è ebreo, è meglio che si sposti più in là.
S'infervora, Geries, quando afferma "Come cittadini palestinesi d'Israele siamo sempre stati preoccupati che possa accadere di nuovo quello che è successo a molti di noi nel 1948. Da sessant'anni viviamo nella paura, ma non ne siamo schiacciati. Lieberman non ci fa paura.
Siamo preoccupati, ma siamo anche sicuri che nessuno potrà toglierci le nostre case e la nostra terra. E se Lieberman proprio non ci sopporta, può sempre tornarsene in Russia, da dove è arrivato appena qualche anno fa. E continuare ad esprimersi con quel linguaggio fascista che noi non accettiamo". Quel linguaggio che gli fa affermare con arroganza che "Israele ha il diritto e il dovere di difendersi con ogni mezzo".

E che ne sarà- chiediamo a Geries- di quei dodici seggi conquistati dai tre partiti arabi?
"Il mondo deve sapere che nessun partito sionista accetterà mai la collaborazione con i partiti arabi all'interno d'Israele. I loro rappresentanti però continuano a far sentire la loro voce che chiede l'uguaglianza di tutti i cittadini all'interno dello Stato d'Israele e pace per la Cisgiordania e Gaza. Queste voci arabe continuano a rimanere all'opposizione; accetteranno e promuoveranno tutto ciò che riguarderà una pace giusta, altrimenti staranno all'opposizione per reclamare i diritti dei palestinesi all'interno e fuori dello Stato d'Israele."

E allora, caro Geries e cari amici di Palestina e Israele, dove guardare per cercare spiragli di pace se, come dice Moni Ovadia, la pace sembra oggi ormai un mito, Se "la pace non è mai stata così lontana"?
"Non ho mai avuto troppa fiducia nella politica dei leader israeliani dice Geries-. La nostra speranza è invece riposta nell'azione giusta e coraggiosa della comunità internazionale e dell'America. Esse dovranno far pressione su Israele affinchè rispetti le Risoluzioni Onu, a cominciare dalla 242 e 383, per arrivare alla creazione di due stati, con quello palestinese entro i confini del 67 e con Gerusalemme Est come sua capitale. È questa la nostra speranza. Questo il nostro sogno."

Certo, caro Geries. Un sogno condiviso da molti, anche qui in Italia. Un sogno di pace nella giustizia per i tuoi due popoli. Un sogno, il tuo e il nostro, che però evidentemente è interpretato male anche da chi, come la cantante Noa, si definisce pacifista ma… Ma afferma in un'intervista al Corriere della Sera, di capire chi ha votato a destra, perché Israele in Europa è sottoposto alla gogna di fanatici, che attuano un processo sommario contro l'intero popolo israeliano isolandolo dal resto del mondo.
E Geries allora si arrabbia proprio.
"Questo non è assolutamente vero. Come si fa a sostenere che Israele è isolato se tutto il mondo l'appoggia? È invece il popolo palestinese ad essere lasciato solo. Forte del sostegno dei governi occidentali, Israele si è spostato ancora più a destra. Nessuno infatti, tra i governi occidentali, ha criticato seriamente l'attacco israeliano a Gaza. I loro popoli l'hanno fatto. Ma i loro governi no" E allora avvertiamo, unendoci alle parole di Moni Ovadia, tutta la stanchezza e la desolazione provate dal nostro amico per "l'atroce ipocrisia che accompagna il sempre più abbandonato popolo palestinese"

BoccheScucite