L'ultima parola è la nostra. dall'evidenza scientifica all'etica della responsabilità [Dal sito della Libera università delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente appello]
Contrastiamo l'abitudine a pensare che sui temi essenziali che riguardano la nostra vita, le nostre esperienze che si fanno corpo e anima, noi donne e uomini comuni fatichiamo a prendere una decisione consapevole.
Osserviamo che in una società di esperti hanno autorevolezza lo scienziato, il filosofo, il teologo, il giurista e recentemente il bioeticista, tutti "rigorosamente" di sesso maschile, mentre noi donne non abbiamo parola pubblica. Ma oggettività scientifica e soggettività non sono mondi separati e le tecnologie che riguardano la vita e la morte sono oggi tali da modificare la percezione, il senso e quindi la lettura che noi diamo di esse. Dal concepimento al morire, le opportunità (e i rischi) offerti dalle biotecnologie mediche ci obbligano singolarmente e collettivamente a operare scelte e mettere in atto decisioni spesso difficili. Ad esse la scienza contribuisce in termini di conoscenza e ampliamento delle possibilità. Ma l'ultima parola spetta alla donna e all'uomo che di quelle scelte vivranno le conseguenze.
Noi contrastiamo la violenza di un'etica dei principi indiscutibili e astratti con l'etica della responsabilità e denunciamo che il vuoto lasciato dall'assenza di una cultura laica delle istituzioni è riempito dalla Chiesa e dai codici deontologici delle associazioni e/o corporazioni degli esperti, scientifici e non, che dettano la propria legge.
Le questioni eticamente sensibili diventano così strumenti che mirano a fare dei corpi di uomini e donne le nuove "res publicae", su cui e attraverso cui arrivare alle "nuove sintesi" politiche che spesso avvelenano la civile convivenza e il quadro democratico. Questo sta accadendo: ieri sulla legge 40, oggi sulla 194, la moratoria, la lista di Ferrara e l'incursione all'ospedale di Napoli.
Riproponiamo l'autonomia e la libertà di una donna di scegliere per se stessa anche quando è "uno e due contemporaneamente", cioè quando è gravida, affermando che è portatrice di una responsabilità che ne fa un soggetto morale capace di compiere la scelta di essere o non essere madre e di interrogarsi sul senso e la qualità di quella vita che ha deciso di mettere al mondo.
La chiesa cattolica ha riconosciuto un'anima alle donne nel 1431. Quanti secoli ancora per essere riconosciute soggetti morali?
Denunciamo la voluta confusione che ha animato il recente dibattito sull'obbligo di rianimazione dei feti vitali anche in presenza di una decisione contraria della madre. Si sono confuse questioni diverse: aborto terapeutico e nascita prematura.
Aborto terapeutico e nascita prematura stanno su piani diversi, hanno ricadute ed effetti differenti, le cui responsabilità non sono del tutto chiare dal punto di vista della legge.
Nel primo caso il riferimento è la legge 194 dove in nome del diritto alla salute della madre, ed in presenza di una grave malformazione del feto, la legge consente alla donna di porre fine a quella vita.
Nel secondo caso siamo in presenza di un trattamento terapeutico su un "minore" già nato che non è in grado di esercitare quel "consenso informato" di cui il medico ha bisogno per agire sul corpo del paziente e che è l'espressione della autonomia di scelta di ogni cittadino/a sancita dalla Costituzione.
Tale questione non riguarda la 194 ma il diritto di limitare i trattamenti di rianimazione e di sostegno vitale. Un feto di 4-5 mesi, può esercitare questo diritto? La risposta è evidente: no. Allora chi lo fa per esso? Chi è il soggetto morale che lo può fare? Una legge astratta dello Stato in nome di un'etica dei principi, un codice deontologico medico che si fa legge o la donna che l'ha nel suo corpo (quel feto è parte di essa) e la cui etica della responsabilità le consente di coniugare i fatti, che inaspettatamente le vengono presentati, con i valori che fino a quel momento l'hanno conformata? Noi rispondiamo che quella donna che ha dolorosamente scelto di interrompere a 5-6 mesi dall'inizio una gravidanza desiderata è l'unica autorizzata a parlare e a prendere la decisione.
Prime firmatarie: Elena Del Grosso, genetista, docente di bioetica Università di Bologna, rete delle donne di Bologna Maddalena Gasparini, medico, Libera Università delle Donne di Milano Eleonora Cirant, Associazione Osa-Donna, Osservatorio Donne Salute
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