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Pacifista per calcolo

Io non sono un pacifista per principio, in maniera aprioristica, per un discorso di non violenza, lo sono invero per calcolo sulla guerra, un conteggio concreto e preciso che mi fece mio padre, mio personale e privato padre della patria, l’unico che rispetto davvero.
Come tanti della sua generazione mio padre era di poche parole, ed era una fatica immensa strappargli racconti soprattutto della guerra; a spezzoni attraverso qualche aneddoto, la sua esperienza l’ho ricostruita io. Andò soldato in Marina volontario a 17 anni, nel 1939, per fame, per fame assoluta e concreta, cioè proprio per riuscire a mangiare! Non era quindi un valoroso! Fu sempre un motorista e, peccato per me, non ebbe così neanche la passione del mare e della vela! L’ho perdonato e giustificato perché il suo navigare non fu poetico, ma solo l’unto ed il rumore dei motori. Nell’estate del 1940 la sua nave nel porto di Tobruk fu spezzata in due da un siluro, morirono quasi tutti, lui si salvò perché stava ancora lavandosi a prua, perché come al solito i ragazzi dovevano aspettare l’ultimo turno per farlo. A Creta, nel 1941, sotto intensi bombardamenti inglesi, con le navi quasi indifese vide marinai maturi, paralizzati dalla paura, pisciarsi e cagarsi addosso e gridare aiuto. Poi andò nel Mar Nero con i MAS, a fare le azioni eroiche dei marinai italiani, scoprii così che i MAS li portarono fino al mare sul Danubio, da Vienna. L’8 settembre 1943 il treno con cui ritornava, o andava di nuovo, fu bloccato in Jugoslavia dai tedeschi, i vagoni furono blindati, e lui assieme a tutti gli altri deportato senza fermate fino a Papa, in Ungheria. Là lavorò da schiavo nei campi per le famiglie di contadini, che in verità, diceva, lo trattarono bene perché era pur sempre un ragazzo. C’ho il cruccio di non avercelo mai riportato in gita, come più volte promesso. Tornò a casa a Forno di Massa guarda caso la mattina del 14 giugno 1944 in tempo per trovare il cumulo dei fucilati dell’eccidio fatto il giorno prima dai fascisti e dai tedeschi, da cui tirò fuori il corpo del cognato, e di diversi suoi amici coetanei, che a stento riconosceva perché rigonfi e tumefatti. Poi andò con i partigiani a portare gente nell’Italia già libera di là dal fronte della Linea Gotica, attraverso i sentieri montani, di cui era esperto. Nel marzo del 1945 in uno di questi viaggi, al passo del Pitone, sul crinale tra Massa e Seravezza, un tedesco disertore che accompagnava gli saltò accanto sopra una mina, e lui si riempì di schegge nelle gambe protetto dal corpo dell’altro. Se ne tornò ad Antona a struscioni. Nel dopoguerra non smise col pericolo perché con i dragamine ripulì le coste italiane dalle mine, poi dopo qualche anno trovò un impiego civile.

Ebbene Ercole, questo il suo nome epico, questo eroe antieroe che fu mio padre (cosa per cui ci sono così attaccato), un giorno, con grande mia meraviglia, mi chiamò quasi ufficialmente (e fu la prima ed unica volta), perché erano giorni di pericolo per i giovani, e lui era preoccupato per me, e quasi sentenziò: “Massimo ho fatto i conti, i miei sono circa 7 anni di guerra, se ti chiamano, se parlano di nuovo di guerre, tu devi rispondere abbiamo già dato, ha dato mio padre”. Non una parola di più!

Anch’io ho fatto i conti e stabilito che non avendo io sfruttato il suo credito esso vale per i miei figli, e per i miei nipoti, e forse anche per i pronipoti. Una mera questione di calcolo.

Per rispetto e obbedienza a tale insegnante e maestro e tutore io sono e sarò sempre contro la guerra, ma non per principio!

Marzo 2010 - Massimo Michelucci  - Massa