Questo mio Paese ha 150 anni... Ma a quale Paese penso?
Un Paese giovane? ... vecchio?
Un Paese che cambia... ma in che direzione?
Non è solo il Paese che viene trascinato verso il buio da parte di una classe politica incapace di coglierne energie, potenzialità e novità anche in questo periodo di crisi.
Nemmeno semplicemente quello nel quale la politica si nutre di paura, alimentandola, in un perverso circolo vizioso, che porta a concepire la nostra vita chiusa in fortificazioni asfissianti.
Penso ad una realtà diversa ma che esiste realmente... che si misura dando dimensione alle paure, senza cercare capri espiatori... capace di abbattere quelle fortificazioni per godere della brezza marina, del sole che nasce, delle relazioni autentiche tra le persone.
Un Paese che non è separato nella disuguaglianza, come qualcuno ci sta conducendo, ma che invece vuole cercare l'unità proprio in una uguaglianza solidale. Una unità fondata sulla solidarietà e sul camminare accanto ed insieme alle persone e ai territori ultimi.
Un Paese che basa la sua unità sulla cultura e sulla formazione diffusa e alta, prescindendo da dove uno vive, dalle condizioni economiche, dal proprio passaporto. Possibilità questa solo una scuola pubblica può garantire.
Un Paese che si fondi sulla solidarietà, sulla giustizia e sulla dignità delle persone, a prescindere dal sesso, dal colore della pelle, dalla religione, dalle tendenze sessuali.
Mi piace pensare ad un Paese nel quale le persone vengono curate, assistite, aiutate per la condizione in cui si trovano e non per il documento che hanno oppure che non possono avere.
Un Paese nel quale le persone che lavorano vengano prima delle imprese e della finanza... Un Paese nel quale, per fortuna, vi sono persone capaci di urlare il loro no a contratti e ricatti capestro.
Un Paese nel quale non venga definita l'idea di famiglia e si amore sulla base semplicemente di una tendenza sessuale.
Un Paese nel quale le donne sono capaci di indicarci la strada e le forme della lotta per affermare sempre e in continuazione la loro dignità nei confronti di una cultura che la vuole calpestare.
Un Paese nel quale le differenze si confrontino... nel quale la politica sia il terreno e lo scontro dialettico del confronto, senza diventare rissa e ring.
Un Paese capace di disegnarsi, di declinarsi e di raccontarsi partendo dalla condizione degli ultimi, misurandosi su di loro, per costruire un sistema di relazioni che rispetti la dignità e i diritti di tutte le persone che lo abitano, che lo attraversano, che vi lavorano, che vi soffrono... un Paese che sappia ascoltare l'urlo soffocato che da loro viene.
Un sogno? Un utopia... no solo la consapevolezza di un Paese che, nonostante tutto, esiste realmente, che compie 150 anni, che non si rassegna al grigiore di questa cultura dominante... che sappia invece percorrere i sentieri alimentandosi di utopie, sogni, aspirazioni... che sappia attingere l'energia del suo procedere e del suo trasformarsi proprio da quel sistema di ideali e di valori che sono fondanti nella nostra Costituzione e che non necessitano di alcun aggiornamento, se non invece di una loro attuazione, troppo spesso disattesa.
Un Paese che chiede il coraggio di una cultura altra... che urla il bisogno, nei mille rigagnoli di una partecipazione che si articola diversamente rispetto al passato, di una politica diversa, capace di declinare l'orizzonte nel quale vuole muoversi, gli interessi e i soggetti che vuole rappresentare e che non sia più quel pantano in cui tutto si confonde, nel quale gli opposti sembrano uguali, in un linguaggio che è solo un rumore monotono e senza vita... incapace di diventare sinfonia, pluralità, dissonanza...
... Tutto ciò rappresenta per me il senso e il significa di questo centocinquantesimo anniversario del mio Paese... senza nessuna retorica, senza nessuna celebrazione... se non la semplice voglia di lottare affinché questo Paese sia diverso, affinché non prevalga la rassegnazione.
Buratti Gino