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Riflettendo su Vittorio

Questa mattina nel “lettone” abbracciavo e accarezzavo mio figlio. E pensavo a Vittorio Arrigoni! Fra il caldo delle lenzuola, con il cervello in fase di risveglio, un dubbio si stava insinuando in me mescolandosi ai brividi provocati da una vita scivolata via: “Serve impegnarsi…e anche fino al supremo sacrificio?”.

So già quale gioco prenderà forma sulle spoglie di Vittorio: per Vittorio, fino alle esequie finali, ci saranno articoli sui giornali (anche se sopravanzati dal “bunga bunga”). La sua bacheca FB inondata da messaggi di solidarietà, dove (per la maggiore parte) verranno proiettati i buoni sentimenti e l’impegno nel martirio altrui, assolvendo il disimpegno quotidiano e giustificandolo nella retorica. Fra due settimane molti non si ricorderanno più né del nome, né del cognome. Se chiedo ai miei colleghi di lavoro chi era Baldoni, vanno in crisi. Non riescono nemmeno a darmi una risposta digitando il cognome su un motore di ricerca. Devo aiutarli suggerendogli il nome: “Enzo”. È un destino già scritto: la solitudine diventerà ancora una volta la migliore compagna del corpo senza vita di Vittorio. Lo ammetto: sono scosso! In Vittorio vedo tutto il mio impegno di volontario. Riesco a immaginarmi la sua fatica, la sua determinazione, le sue crisi, le sue gioie, ma soprattutto la sua solitudine. Non una solitudine di persone, ma di impegno, di sostegno, di condivisione. La solitudine è la nostra più cara sorella. Mi vengono in mente episodi e di quanto la vita sia fatta di attimi: non dimentico mai il kalashnikov delle forze speciali puntatomi addosso, in Cecenia, da una persona impaurita di cui, dal cappuccio indossato,si notavano due occhi celesti-ghiaccio roteare nervosi. Ricordo la fuga nervosa sul ponte antico della  Neretva a Mostar sotto il tiro dei cecchini. E tanti altri episodi. Il fisico ha avuto diversi insulti…ma sono ancora qua! Sono stato fortunato! Ne vale la pena? Vale la pena ancora per il futuro? Il corpo di Marco, mio figlio, emana un calore tiepido e inebria e addolcisce i miei sentimenti. Devo pacificarmi! Devo trasformare in me il corpo freddo di Vittorio in un corpo caldo di speranza. Non è facile! È la possibilità del “disimpegno” che mi crea i brividi maggiori! Rimando al futuro le scelte: forse due giorni di riposo mentale mi basteranno! Chiedo solo un favore a tutti: non lasciateci soli! Non solo parole, ma una presenza concreta e  costante. Dedicate pochi minuti della vostra giornata: ci basta poco! Così nessuno morirà. RESTIAMO UMANI!

massimo bonfatti