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Riforma elettorale: Come il "porcellum" ha cambiato la Costituzione

L'evoluzione della crisi, che impone in tempi ravvicinati la necessità di nuova elezioni politiche generali, rende urgente una grande mobilitazione politica per evitare che si vada a votare per la terza volta con la vigente legge elettorale, meglio conosciuta come "porcellum", essendo stata definita una "porcata" dal suo presentatore, l'on. Calderoli, che - evidentemente - ne ha fornito l'interpretazione autentica. In questo nuovo sistema elettorale, l'effetto congiunto del meccanismo delle liste bloccate e della sostituzione dei collegi uninominali con circoscrizioni elettorali di grandi dimensioni ha espropriato l'elettore da ogni residua possibilità di influire sulla formazione della rappresentanza parlamentare, con la conseguenza che le scelte dei candidati operate dalle élites dirigenti dei partiti non possono in alcun modo essere censurate, sconfessate o corrette dal corpo elettorale. Si è verificato, pertanto, il paradosso che tutti i "rappresentanti" del popolo italiano, sia nelle elezioni del 2006 che in quelle del 2008, sono stati nominati dai dirigenti dei partiti, ovvero direttamente dal padrone del partito-azienda. In questo modo gli eletti, più che rappresentanti del popolo, sono - anche in senso tecnico - dei delegati di partito, anzi del capo politico che li ha nominati, al quale rispondono delle proprie azioni ed al quale sono legati da un vincolo di fedeltà estremo. Inoltre è stata legittimata la tendenza a trasformare le elezioni in una investitura popolare del capo politico, attraverso l'obbligo giuridico di indicare il capo unico della coalizione. In questo modo il sistema elettorale tende surrettiziamente a modificare la Costituzione, comprimendo la centralità del Parlamento ed il ruolo del Presidente della Repubblica.
Sotto questo profilo, la legge elettorale vigente costituisce - di fatto - una forma di attuazione della eversiva riforma della Costituzione - bocciata con il referendum del 2006 - che delineava un meccanismo elettorale simile. Adesso questa riforma eversiva della Costituzione viene apertamente rilanciata da Berlusconi che nella sua esternazione del 20 agosto 2010, ha rivendicato «la novità che non può essere cancellata». Tale novità consisterebbe nel passaggio ad una Repubblica presidenziale che si sarebbe realizzato per mezzo della legge elettorale con la quale i cittadini (aggirando i formalismi costituzionali) hanno eletto direttamente il Capo del Governo, con la conseguenza che il Parlamento non lo può sfiduciare senza contrapporsi alla volontà popolare.
Bisogna considerare, inoltre, che il procedimento di trasformazione dei voti in seggi, previsto dal porcellum, determina una manipolazione della volontà popolare, attraverso il premio di maggioranza, che corregge l'orientamento manifestato dagli elettori, trasformando - per legge - una minoranza (più forte delle altre anche per un solo voto) in una solida maggioranza, garantendole il 55% dei seggi della Camera dei Deputati.
Tale sistema elettorale non costituisce una novità nel nostro paese perché trova il suo precedente storico nella legge Acerbo, voluta da Mussolini per schiacciare l'opposizione nelle elezioni politiche del 1924. La riforma elettorale del fascismo, tuttavia, risultava più "democratica" del porcellum perché non consentì a Mussolini di sbarazzarsi di comunisti e socialisti, come ha fatto Berlusconi (con l'aiuto di Veltroni) nelle elezioni del 2008, grazie al meccanismo delle soglie di sbarramento raddoppiate per i partiti non coalizzati.
Nella situazione politica contingente, che ha visto la massima umiliazione possibile del Parlamento ridotto a cinghia di trasmissione degli ordini del Presidente del Consiglio, il ritorno alle urne con questa legge elettorale sarebbe un disastro politico, qualunque fosse l'orientamento manifestato dagli elettori. Come abbiamo visto, con il porcellum il capo politico di un partito può nominare direttamente tutti i parlamentari che le urne gli assegneranno, ma il porcellum garantisce anche al capo politico la possibilità di sbarazzarsi di ogni forma di dissenso interno. Infatti, qualora i dissidenti dessero vita ad una nuova formazione politica, questa sarebbe falcidiata dall'effetto congiunto del voto utile e delle soglie di sbarramento raddoppiate, consentendo a chi dirige il partito di restare indenne da ogni scissione e di espellere il dissenso interno senza pagare alcun costo.
In questo modo le forze intermedie, che non intendono annullarsi in uno dei due partiti a cui lo schema bipolare assegna la competizione per il premio di maggioranza, sono destinate a scomparire dal parlamento ed i due schieramenti principali possono sbarazzarsi di ogni forma di dissenso interno ed ottenere il controllo totale del comportamento dei parlamentari da loro nominati.
Il problema non riguarda solo la destra di Fini, ma anche le forze cattoliche di centro, come l'Udc, e le forze di sinistra non coalizzate (che già nelle ultime elezioni sono state espulse dal parlamento).
Eliminato il ruolo moderatore delle forze intermedie, trasformato il parlamento un "bivacco di manipoli" del presidente eletto dal popolo, la dialettica politico-parlamentare si trasformerebbe in una continua bastonatura dei perdenti, che sarebbero spinti sulla strada dell'Aventino, come avvenne con la debole opposizione a Mussolini dopo le elezioni del 1924. (continua)

Fonte: Il Manifesto del 1 settembre 2010