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Mentre scrivo,  si moltiplicano le voci che danno Gheddafi per fuggito, come sostengono gli insorti, oppure ucciso dai bombardamenti della coalizione. Chissà che la Nato non abbia accolto il grido di dolore del sindaco di Lampedusa: perdio, ha protestato, per farci riavere i turisti uccidete subito il Colonnello come avete fatto con Bin Laden!

Con le rivolte arabe la crisi sistemica globale entra in una nuova fase, più imprevedibile e sempre più fuori controllo. Fino ad oggi i principali attori erano le oligarchie finanziarie e le grandi multinazionali, i principali governi, in primo luogo Stati Uniti e Cina, e, abbastanza più indietro, alcune istituzioni come il G-20. Ora si è prodotto un gran viraggio con l’ingresso in scena dei settori popolari di tutto il mondo, capeggiati dai popoli arabi, ciò che fa prevedere l’approfondimento e l’accelerazione dei cambiamenti in corso.

I cooperanti delle Ong impegnate nel Nord Africa si erano accorti da tempo che il consenso alle dittature di Tunisia, Egitto e Libia stava precipitando: non solo tra i giovani senza futuro e i poveri, ma anche tra i professionisti e le classi medie. Bastava andare in bus o nei mercati per ascoltare parole come queste, pronunciate davanti alle onnipresenti gigantografie dei dittatori: “i nostri dirigenti sono ladri, prima o poi ce ne libereremo”. In Occidente i politologi non l’avevano capito, perché abituati a studiare i regimi più che i Paesi, cioè i potenti più che le persone reali. I diplomatici, come quelli americani ben descritti da WikiLeaks, hanno anch’essi guardato al potere dei Palazzi e non alla popolazione fuori dai Palazzi. Mentre i politici sono rimasti prigionieri di una real-politik che non regge più alla prova dei tempi, cioè alla voglia di libertà delle persone.