Care donne...
- Giancarla Codrignani
- Categoria: Movimento delle donne
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"Non possiamo tacere né per dolore né per rabbia né per avvilimento: il silenzio è complicità e connivenza con un sultanato delle menti che arriva a pervertire anche la coscienza di alcune di noi che sono destinate a essere non "veline", ma generatrici di futuro.
La difficoltà e l'entusiasmo (Laura Piretti)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Movimento delle donne
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Tratto da Nonviolenza. femminile plurale, supplemento settimanale del giovedì de "La nonviolenza è in cammino", n. 97 del 12 aprile 2007
Dal sito 50e50 riprendiamo l'intervento di Laura Piretti al seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide", svoltosi a Roma il 22 febbraio 2007.
Sento la necessità, giunte a questo punto del dibattito che stiamo portando avanti, di ricollegarmi ad alcuni interventi che mi hanno preceduto.
Mi ha fatto ovviamente grande piacere sentire la disponibilità espressa da "Usciamo dal silenzio", per mobilitarsi con noi e con quante raccoglieranno questa sfida. È importante "fare numero", non essere da sole.
Mi ha colpito anche la sincerità con la quale sono emersi dubbi, distinguo, richiami non solo alla difficoltà dell'impresa in sè, ma anche alle nostre diversità e a qualche dubbio che il concetto di democrazia paritaria, di rappresentanza numerica, quantitativa più e prima che qualitativa, può portare fra noi, e fra noi e le nostre storie in questi anni.
Mi è parso di cogliere in un intervento che mi ha preceduta, l'osservazione, giusta e condivisibile, di quanto il tema del "50 e 50" sia un forte allargamento rispetto ai temi sui quali, come ci siamo dette nella poderosa manifestazione di Milano in difesa della 194, sappiamo resistere e attestarci; così come nell'intervento di Lidia Campagnano è stata rilevata tutta la complessità del compito che ci siamo prefissate e dell'ampiezza di un tema quale il "50 e 50". Vorrei ragionare su questa ampiezza e ritengo anzi sia proprio ciò da cui partire.
Ricordo, per aver partecipato all'ultima assemblea preparatoria, a Milano, della grande manifestazione in difesa della 194, che vi erano ragazze che volevano, già nel testo del volantino "promotore", che si stava preparando, parlare di rappresentanza, di quote, di precarietà del lavoro.
Non furono accontentate, perché la concisione necessaria per un volantino non consentiva l'accoglimento di tante istanze, ma al momento della manifestazione, dai vari volantini distribuiti, dalle scritte sui cartelli venivano fuori esattamente tutti questi temi. E fu proprio osservando cartelli e striscioni, portati soprattutto da donne giovani e ragazze, che a noi dell'Udi venne in mente lo slogan dell'8 marzo 2006 "la precarietà rende sterili", dove si coniugava il tema della "piazza" (corpo della donna, legge 194, fecondazione medicalmente assistita ed altro) con quello delle scelte o non scelte obbligate dalla precarietà di vita e di lavoro.
A proposito della violenza contro le donne, tema sul quale abbiamo tanto lavorato in questo ultimo anno e stiamo ancora lavorando, come influisce questo impegno che ora ci prendiamo sul "50 e 50"? A me sembra tutti i temi siano fortemente collegati e che la questione della rappresentanza delle donne ovunque si decide, sia il tema di fondo, per eccellenza.
Quante volte, ragionando sulla violenza contro le donne, ci siamo dette che una società dove le donne sono più rappresentate, ha comunque più strumenti per isolare i violenti. Così come, a proposito dell'"abominevole legge 40", quella sulla fecondazione medicalmente assistita, tutti sanno che un parlamento composto da più donne, avrebbe votato una legge comunque migliore di quella che è passata. Non perché tutte le donne votino meglio o votino a favore delle donne, ma proprio per una questione di numeri che diventano una forza misurabile; dunque ragionando sui numeri del nostro parlamento possiamo ritenere che la legge approvata è proprio la peggiore possibile.
Voglio dire che il tema del "50 e 50" è proprio di fondo o di sfondo rispetto a tutte le nostre battaglie, le quali non debbano dunque scomparire, ma ricevere da questo impegno ancora più forza. E la forza delle nostre iniziative politiche, compresa questa che ci accingiamo a fare, è proprio nel tenere insieme i nostri temi. Il tema del "50 e 50" non si aggiunge semplicemente agli altri temi, vi sta dentro e nello stesso tempo li comprende e determina con essi il nostro stare sulla scena delle politica.
*
Non è una battaglia staccata dalle altre e noi non siamo isolate nel proporla.
Non faremo questa raccolta di firme da sole, stiamo cercando alleanze, sinergie, perché il compito che abbiamo di fronte è davvero arduo e ciò che stiamo facendo è dirompente.
Non credo nemmeno che il contenuto della nostra battaglia sia di facile comprensione. Non credo che sia facile spiegarne le ragioni, quando dovremo farlo a tutti, donne e uomini a cui chiederemo le firme. Le battaglie sulla 194, sul divorzio sono state difficili, ma il contenuto era più immediato.
Qui, subito dopo l'immediatezza dello slogan che parla davvero chiaro, dovremo spiegare perché l'uguaglianza non basta, perché ci vogliono le pari opportunità, perché poniamo una questione di quantità e non di qualità, perché la parola democrazia non basta più da sola e dobbiamo aggiungere "duale", "paritaria" ecc. Non sono concetti facili.
Ricordiamoci che ci proponiamo nientemeno che cambiare le regole del gioco, o meglio ridare regole a un gioco dove qualcuno barava. Questo, che dovrebbe essere molto normale, nello scenario che abbiamo di fronte diventa provocatorio, incendiario. Su questa complessità noi andiamo a promuovere una legge di iniziativa popolare, a chiedere firme per le strade, a coinvolgere e a farci coinvolgere in modo così diretto.
Sento la difficoltà, ma vivo fino in fondo anche l'entusiasmo per questa nostra iniziativa.
Dal sito 50e50 riprendiamo l'intervento di Laura Piretti al seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide", svoltosi a Roma il 22 febbraio 2007.
Sento la necessità, giunte a questo punto del dibattito che stiamo portando avanti, di ricollegarmi ad alcuni interventi che mi hanno preceduto.
Mi ha fatto ovviamente grande piacere sentire la disponibilità espressa da "Usciamo dal silenzio", per mobilitarsi con noi e con quante raccoglieranno questa sfida. È importante "fare numero", non essere da sole.
Mi ha colpito anche la sincerità con la quale sono emersi dubbi, distinguo, richiami non solo alla difficoltà dell'impresa in sè, ma anche alle nostre diversità e a qualche dubbio che il concetto di democrazia paritaria, di rappresentanza numerica, quantitativa più e prima che qualitativa, può portare fra noi, e fra noi e le nostre storie in questi anni.
Mi è parso di cogliere in un intervento che mi ha preceduta, l'osservazione, giusta e condivisibile, di quanto il tema del "50 e 50" sia un forte allargamento rispetto ai temi sui quali, come ci siamo dette nella poderosa manifestazione di Milano in difesa della 194, sappiamo resistere e attestarci; così come nell'intervento di Lidia Campagnano è stata rilevata tutta la complessità del compito che ci siamo prefissate e dell'ampiezza di un tema quale il "50 e 50". Vorrei ragionare su questa ampiezza e ritengo anzi sia proprio ciò da cui partire.
Ricordo, per aver partecipato all'ultima assemblea preparatoria, a Milano, della grande manifestazione in difesa della 194, che vi erano ragazze che volevano, già nel testo del volantino "promotore", che si stava preparando, parlare di rappresentanza, di quote, di precarietà del lavoro.
Non furono accontentate, perché la concisione necessaria per un volantino non consentiva l'accoglimento di tante istanze, ma al momento della manifestazione, dai vari volantini distribuiti, dalle scritte sui cartelli venivano fuori esattamente tutti questi temi. E fu proprio osservando cartelli e striscioni, portati soprattutto da donne giovani e ragazze, che a noi dell'Udi venne in mente lo slogan dell'8 marzo 2006 "la precarietà rende sterili", dove si coniugava il tema della "piazza" (corpo della donna, legge 194, fecondazione medicalmente assistita ed altro) con quello delle scelte o non scelte obbligate dalla precarietà di vita e di lavoro.
A proposito della violenza contro le donne, tema sul quale abbiamo tanto lavorato in questo ultimo anno e stiamo ancora lavorando, come influisce questo impegno che ora ci prendiamo sul "50 e 50"? A me sembra tutti i temi siano fortemente collegati e che la questione della rappresentanza delle donne ovunque si decide, sia il tema di fondo, per eccellenza.
Quante volte, ragionando sulla violenza contro le donne, ci siamo dette che una società dove le donne sono più rappresentate, ha comunque più strumenti per isolare i violenti. Così come, a proposito dell'"abominevole legge 40", quella sulla fecondazione medicalmente assistita, tutti sanno che un parlamento composto da più donne, avrebbe votato una legge comunque migliore di quella che è passata. Non perché tutte le donne votino meglio o votino a favore delle donne, ma proprio per una questione di numeri che diventano una forza misurabile; dunque ragionando sui numeri del nostro parlamento possiamo ritenere che la legge approvata è proprio la peggiore possibile.
Voglio dire che il tema del "50 e 50" è proprio di fondo o di sfondo rispetto a tutte le nostre battaglie, le quali non debbano dunque scomparire, ma ricevere da questo impegno ancora più forza. E la forza delle nostre iniziative politiche, compresa questa che ci accingiamo a fare, è proprio nel tenere insieme i nostri temi. Il tema del "50 e 50" non si aggiunge semplicemente agli altri temi, vi sta dentro e nello stesso tempo li comprende e determina con essi il nostro stare sulla scena delle politica.
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Non è una battaglia staccata dalle altre e noi non siamo isolate nel proporla.
Non faremo questa raccolta di firme da sole, stiamo cercando alleanze, sinergie, perché il compito che abbiamo di fronte è davvero arduo e ciò che stiamo facendo è dirompente.
Non credo nemmeno che il contenuto della nostra battaglia sia di facile comprensione. Non credo che sia facile spiegarne le ragioni, quando dovremo farlo a tutti, donne e uomini a cui chiederemo le firme. Le battaglie sulla 194, sul divorzio sono state difficili, ma il contenuto era più immediato.
Qui, subito dopo l'immediatezza dello slogan che parla davvero chiaro, dovremo spiegare perché l'uguaglianza non basta, perché ci vogliono le pari opportunità, perché poniamo una questione di quantità e non di qualità, perché la parola democrazia non basta più da sola e dobbiamo aggiungere "duale", "paritaria" ecc. Non sono concetti facili.
Ricordiamoci che ci proponiamo nientemeno che cambiare le regole del gioco, o meglio ridare regole a un gioco dove qualcuno barava. Questo, che dovrebbe essere molto normale, nello scenario che abbiamo di fronte diventa provocatorio, incendiario. Su questa complessità noi andiamo a promuovere una legge di iniziativa popolare, a chiedere firme per le strade, a coinvolgere e a farci coinvolgere in modo così diretto.
Sento la difficoltà, ma vivo fino in fondo anche l'entusiasmo per questa nostra iniziativa.
L'attivista in abito da sposa per combattere la violenza domestica
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Da "Azione nonviolenta", aprile 2007 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org), col titolo "L'attivista in abito da sposa per combattere la violenza domestica" pubblicato su Voci e Volti della nonviolenza, n. 70 del 27 giugno 2007.
Josie Ashton, trentaquattrenne, è convinta che la comunità latina di New York abbia bisogno di una "sveglia" rispetto alla violenza, soprattutto alla violenza domestica. Lei è divenuta la sfida costante alla compiacenza che circonda gli abusi tra le pareti di casa e non. L'evento che la mise per così dire in moto fu un omicidio che gettò nella costernazione i dominicani residenti in città: Gladys Ricart fu uccisa mentre si trovava nel proprio soggiorno, circondata da parenti felici, e splendente nel suo abito bianco da sposa. Il futuro marito la stava attendendo in chiesa. Il suo assassino era un facoltoso uomo d'affari con cui Gladys aveva avuto precedentemente una relazione.
Il fatto ebbe ampia risonanza e Josie stessa, che all'epoca già lavorava come avvocata d'ufficio a Miami per le vittime di violenza domestica, ne discuteva con amici e conoscenti: fu così che scoprì parecchie cose assai disturbanti, per lei. Per esempio, che parecchi biasimavano la vittima.
"Dicevano che in qualche modo aveva contribuito a quanto le era accaduto.
Josie Ashton, trentaquattrenne, è convinta che la comunità latina di New York abbia bisogno di una "sveglia" rispetto alla violenza, soprattutto alla violenza domestica. Lei è divenuta la sfida costante alla compiacenza che circonda gli abusi tra le pareti di casa e non. L'evento che la mise per così dire in moto fu un omicidio che gettò nella costernazione i dominicani residenti in città: Gladys Ricart fu uccisa mentre si trovava nel proprio soggiorno, circondata da parenti felici, e splendente nel suo abito bianco da sposa. Il futuro marito la stava attendendo in chiesa. Il suo assassino era un facoltoso uomo d'affari con cui Gladys aveva avuto precedentemente una relazione.
Il fatto ebbe ampia risonanza e Josie stessa, che all'epoca già lavorava come avvocata d'ufficio a Miami per le vittime di violenza domestica, ne discuteva con amici e conoscenti: fu così che scoprì parecchie cose assai disturbanti, per lei. Per esempio, che parecchi biasimavano la vittima.
"Dicevano che in qualche modo aveva contribuito a quanto le era accaduto.
E' necessario che le donne prendano la parola
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Documento del “Coordinamento dei gruppi donne delle comunità cristiane di base” (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. )
Pubblicato su “notizie minime della nonviolenza in cammino” – n. 373 del 22 febbraio 2008
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