Tutt’attorno sorgono solo rovine. Ma è tra quelle case diroccate, attorno alle quali vivono 18mila persone (nel 2011 180mila), palestinesi rifugiatesi nel campo profughi siriano di Yarmouz, che Ayham al Ahmed, 26 anni, ogni giorno trasporta il suo vecchio pianoforte. Procurarsi cibo e acqua in questo campo a otto chilometri a sud dal centro di Damasco è quasi impossibile. Qui, nell’ultimo anno, oltre 150 persone sono morte di fame, lo stesso Ayham pesava 70 chili all’inizio della guerra, oggi ne pesa 45. Per la sua musica, considerata da alcuni fondamentalisti prodotto del demonio, è stato più volte minacciato. Gli hanno detto che gli avrebbero spezzato le dita delle mani se avesse continuato a suonare per i palestinesi. Ma Ayham non ha mai smesso da un anno a questa parte. Ha solo cambiato orario. Adesso al campo si reca la mattina presto, quando ancora gli estremisti dormono. Voleva lasciare un segno di speranza tra la gente che come lui subisce la guerra, qualcosa di semplice, insieme alle ragazze e ragazzi palestinesi, anche con quel pianoforte un po’ scassato. «Voleva fare qualcosa – dice – che possa viaggiare dalla nostra umanità alla vostra». Qualcosa che rendesse chiaro che l’umanità è una, né vostra né nostra. Un po’ come la musica.
Una testimonianza di vita tra le rovine
- ComboniFem - Redazione Newsletter Suore Comboniane
- Categoria: Palestina
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