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Natale, riscopriamo la nostra umanità, reimpariamo a piangere

Oggi un male oscuro attanaglia tutti: l'indifferenza che è peggio dell'odio. Perchè l'odio puoi, in qualche modo, individuarlo e combatterlo, comprendendo che odiare fa principalmente male a chi odia, non all'odiato. L'indifferenza no, perchè si insinua nelle pieghe profonde dell'anima, perchè è il cancro invisibile che rode e uccide, prima che sia possibile intravvederlo.

Siamo ormai di fronte ad una indifferenza globalizzata, come l'ha chiamata papa Francesco a Lampedusa.

Perché diffusa ad ogni latitudine e in ogni tempo; l'indifferenza è l'anestesia del cuore, che ha serpeggiato per anni di fronte ai vagoni di morti nella seconda guerra mondiale, di fronte alle brutali dittatura che hanno fatto sparire nel nulla milioni di uomini, donne e bambini inermi. E non è certo solo questione di totalitarismo politico, se ancora oggi queste tragedie umane continuano, nonostante le democrazie diffuse, nonostante l'Onu e i suoi proclami sui diritti umani, nonostante il rapido sviluppo delle comunicazioni massmediali, che ci restituiscono in tempo reale notizie e immagini sconvolgenti.

Eppure continuiamo a trascinare le nostre vite, pensando che è sempre responsabilità di un altro. Di fronte al grido di Dio, dopo la morte di Abele: "Caino, dov'è tuo fratello?", grido che ancora risuona in ogni parte del mondo, non c'è alternativa al pentimento, alla presa d'atto della propria, specifica responsabilità, al pianto.

Oggi nessuno piange più per le tante sofferenze e le tante morti, perché tutti ripiegati sul proprio io e volti alla soddisfazione dei propri, angusti desideri.

Reimparare a piangere, ad esprimere in modo concreto, immediato e non simbolico che qualcosa di prezioso -la commozione verso l'altro- si è perso, come si è smarrito il peso del dramma che le tante tragedie comportano.

E' come se il linguaggio non trovasse più le parole per dire partecipazione al mistero del male che ci avvolge, così che il piangere ne fosse invece la sua dimensione più completa, capace di superare la frattura tra la sfera fisica e quella spirituale.

Termino con un esempio nostro, tutto italiano, di quella terra assolata di Sicilia, isola dalle tante contraddizioni, capace di essere "grembo" di accoglienza e di vita e al contempo zona franca in cui fiorisce il crimine organizzato, non può che cibarsi delle parole di papa Francesco e piangere con lui per il fallimento di ciò che è umano in noi e che si è inabissato in fondo al mare, come i tanti, i troppi corpi di decine di sventurati, avvicinatisi alle nostre coste.

Dovremmo tutti rileggere in silenzio le sue parole dure e drammatiche, perché scuotano le nostre sicurezze e ci spingano ad una conversione profonda: quei poveri della terra ci riguardano, uno per uno. Ce lo ha detto con voce forte e dura perché guarda con amore gli ultimi. Perché saranno i primi!

Che fare? Ci dovremmo interrogare sul perché abbiamo paura della nostra positività, della nostra bontà, della nostra propensione ad una vita piena e felice e ci si attarda ancora a muoversi nella diffidenza e dentro logiche di pura sopravvivenza. Tutte le positività di cui siamo depositari e custodi aspettano che le manifestiamo in tutta la loro potenzialità.

Ognuno di noi ha in "grembo" un boccio di felicità che deve aprirsi e dilatarsi, facendo si che ogni giorno sia Natale.

 

Fonte: Nesletter Rete di Quarrata