Provate voi, se trovate le parole giuste, a raccontare ancora una volta di una giovane donna uccisa dal fidanzato che aveva lasciato; di un’altra, al nono mese di gravidanza, ora ricoverata in gravi condizioni, per essere stata avvelenata con della soda caustica dal proprio compagno. Provate a star dietro a un conteggio che parla di cinquantacinque donne assassinate nei primi cinque mesi di quest’anno (undici al mese) e che, mentre lo si scrive, risulta già vecchio, già andato oltre, già segnato da altre vite sospese.
Provate voi a giustificare, se mai ci si riesce, l’esposizione mediatica di un altro piccolo corpo senza vita, con sotto il commento “sembrava una bambola”. L’ennesimo Aylan, ma privo della commozione mondiale che aveva suscitato il bimbo siriano. Provate a tenere il conto, ammesso che davvero si avvicini alla realtà, delle bambine e dei bambini che abbiamo smarrito in mare, mentre ci affrettiamo a candidarci all’adozione della piccola che ha perso la mamma e il papà. Provate, se riuscite. Noi, oggi, non siamo capaci.
Ci sono momenti in cui la sensazione è quella di non riuscire a sottrarsi allo sconforto. Giorni in cui sembra che tutto ciò che ci circonda abbia un peso troppo grande: il peso del già detto, già scritto, già commentato. Il peso del “non cambia mai niente”. Niente scuote, nulla addolora veramente, nessun accadimento indigna tanto da far cambiare l’ordine delle cose: le decisioni della politica, dell’Europa, la vita di noi gente comune, l’andare scriteriato di questo mondo.
In questo tempo di emozioni telecomandate, che si accendono a intermittenza davanti ai vari Aylan, Favour e chissà a quanti altri piccoli migranti ancora (ma solo se si tratta minori, per gli adulti la pietà è finita da tempo: vengono a rubarci quel che abbiamo, che ci appartiene, ad approfittare del nostro benessere, a delinquere…), viviamo lo sconcerto di questa continuità cupa, di cui nessuno sembra volersi far carico.
Abbiate pazienza, care lettrici e cari lettori. Accogliete questo nostro piccolo sfogo. Domani torneremo a essere donne resilienti, capaci di rialzarci rafforzate dal turbinio degli eventi che a volte sembra sovrastarci. Ma il senso di impotenza che ci assale nella vita è ciò che ci consente di fermarci a riflettere. A raccogliere energie nascoste, di cui noi stesse spesso siamo inconsapevoli. È quel che dà la possibilità al dolore di farsi fecondo di un futuro altro. Quel futuro che continueremo a sognare e a raccontare insieme. Non oggi però.
Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane