Nei giorni scorsi Camera e Senato hanno approvato a larghissima maggioranza il documento del governo per la partecipazione dell’Italia alla missione militare navale Aspides. Tutti d’accordo dunque, con l’assenso complice di PD e 5 Stelle, tutti uniti in un “campo larghissimo” complice delle lobby che porta l’Italia ancora una volta in guerra. A tal proposito sarebbe opportuno sempre ricordare l’articolo 11 della Costituzione, ahimè troppe volte dimenticato.
Una relazione dicevamo, quella del ministro degli esteri Tajani, piena di gravi non-detti e ambiguità pesanti. La prima cosa infatti che il ministro non ha detto è che una nave militare si è già trovata ben prima del voto in Parlamento, in una azione di guerra. Siamo da tutti i punti di vista al fatto compiuto per il quale la democrazia serve come surrogato a posteriori. Più rilevante è la motivazione per il libero commercio, che sarebbe messo a repentaglio dai gruppi armati yemeniti sul canale di Suez.
Ancora una volta in nome del capitalismo la comunità internazionale si rende complice di una scia di sangue non più tollerabile. Una “crisi” innescata a tavolino che è andata ben oltre la catastrofe, con la risposta indiscriminata e criminale ai fatti del 7 ottobre da parte del governo israeliano e che ha avuto come conseguenza lo sterminio della popolazione palestinese e più di due milioni di persone ridotte alla fame con più di 12mila bambini e 9mila donne uccisi (siamo a 31mila vittime civili, migliaia e migliaia di ferite e mutilati, una litania infinita di sangue).
Oggi, e crediamo sia giusto dirlo senza alcuna reticenza, ci troviamo di fronte ad uno stato occupante, uno stato che occupa, in violazione di tutte le risoluzioni ONU, quello che è, o meglio avrebbe titolo ad essere considerato come uno stato sovrano, lo Stato Palestinese. Gli Yemeniti, che bloccano il canale di Suez, crocevia del 40% delle nostre esportazioni, dichiarano che la loro iniziativa militare è per ridurre la pressione dell’esercito israeliano contro i palestinesi.
Ci domandiamo perciò se il commercio internazionale e quello del Made in Italy sono a repentaglio perché continua la strage a Gaza, quella che nemmeno il povero Biden riesce o vuole fermare? Intanto il governo Netanyahu va a briglie sciolte e gli Usa mettono il veto a qualsiasi risoluzione sul cessate il fuoco, la sola che lo obbligherebbe a fermare quella che da subito ha dichiarato essere una “vendetta”. Insomma, dovrebbe unire questa per far finire il boicottaggio degli yemeniti, non allargare il confitto mediorientale, nel Mar Rosso e in Libano.
II diritto internazionale dice che bisogna fermare l’esercito israeliano, battersi all’Onu per un cessate il fuoco incondizionato quanto immediato, riconoscere lo Stato di Palestina subito. Non risulta che su questo diritto l’Italia stia agendo, ma è previsto il taglio dei fondi per i rifugiati e ci vantiamo di minimi gesti “umanitari” quanto spettacolari, mentre a Gaza più di due milioni di esseri umani, con centinaia di migliaia di bambini – testimoni di questo misfatto storico – , muoiono di fame e seppelliscono i familiari nelle fosse comuni.
E ci domandiamo come Fiom in modo provocatorio sopratutto a chi convenga oggi quel cessate il fuoco quando è in atto una guerra fredda sugli equilibri di potere economico tra Cina, Russia, Stati Uniti e UE. Siamo convinti che nel dibattito prevalente sulla guerra c’è una grave lacuna: manca un’interpretazione economica dei confitti militari. La narrazione mainstream richiamata a valori e nobili principi per tentare di giustificare i massacri in corso. Ma nel complesso tali narrazioni sono essenzialmente “idealistiche”, perché non prendono in considerazione le basi economiche, “materiali”, dello scontro in atto.
La conseguenza è un dibattito sulla guerra assolutamente ingenuo e fuorviante. La globalizzazione capitalista ci ha lasciato in eredità un enorme squilibrio nei rapporti economici.. Questo squilibrio non può essere gestito né dal vecchio libero mercato né dal nuovo protezionismo unilaterale americano. Serve una regolazione politica coordinata degli scambi globali altrimenti e su questo l’opinione pubblica sta subendo un indottrinamento massiccio di preparazione ad una fase bellica, assisteremo ad uno scontro globale. Alla luce di ciò, riteniamo necessario un ribaltamento di tale paradigma e l’impellenza di rimettere al centro del dibattito politico il tema della pace, non solo nella sua concezione ideale, bensì nella sua accezione materiale e come organizzazione di massa abbiamo il dovere attraverso una mobilitazione permanente di continuare a farlo.
Massa, 11 marzo 2024