In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale è stato il significato della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?
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Sergio Albesano: Secondo me il fatto di aver mosso migliaia di persone, di averle portate fuori dalle loro case, nelle strade, in una marcia lunga e anche faticosa per dire che esse desiderano la pace. Un movimento spontaneo nato da coloro che non si riconoscono nel sistema violento e di guerra. Tutti uno accanto all'altro, giovanissimi, meno giovani, intellettuali e spontanei, vecchi pezzi della politica e nuovi germogli di autonomia, famiglie intere e coppie. Un'esperienza bella da vivere. Bisogna però dire che la marcia ha assunto significati molto diversi da edizione a edizione e talvolta persino contraddittori. È nata nella volontà di Aldo Capitini, suo primo organizzatore, come gesto concreto per esprimere tutta l'avversione alla guerra e alla sua preparazione, ma, quando fu ripresa dopo molti anni, a poco a poco si svuotò del suo primigenio significato per diventare spesso un misero palcoscenico per politici in cerca di interviste. Questi politici non condividevano con il popolo la marcia, ma compivano solo gli ultimi quattrocento metri. Evidentemente pensavano che dedicare un'intera giornata alla marcia, oltre a essere faticoso, sarebbe stato anche una perdita di tempo e consideravano che essi avevano ben di meglio da fare. D'altronde anche Benito Mussolini non partecipò alla marcia su Roma, ma arrivò alla capitale in carrozza letto. Per questi politici gli ultimi quattrocento metri erano l'occasione giusta e poco dispendiosa di energie per essere intervistati dalle televisioni e lasciar credere ai telespettatori che avessero partecipato all'intero percorso. Una bella possibilità per loro per ottenere la massima visibilità con il minimo sforzo. Addirittura un D'Alema, capo del governo che portò l'Italia in guerra contro la Serbia ("Siamo in guerra" dichiarò D'Alema in parlamento), ebbe l'impudenza di farsi vedere alla marcia per la pace! Marcia quindi che per diversi anni divenne più una kermesse folcloristica che una rivoluzionaria presa di posizione popolare. Come l'anno in cui il tema fu quello del diritto al lavoro, tema certamente nobile ma che non c'entrava nulla con le tematiche di opposizione alla guerra. Sembrava quasi che trovare una tematica di quel tipo servisse proprio a togliere forza rivoluzionaria alla marcia. Quindi il diritto al lavoro da diritto sacrosanto si trasformava in un mezzo per distrarre l'attenzione della massa dalle tematiche afferenti l'opposizione alla guerra.
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Andrea Cozzo: Penso che la marcia istituita da Aldo Capitini, uno dei padri (o forse egli preferirebbe che si dicesse "una delle madri") della nonviolenza in Italia, abbia avuto il valore di tenere viva la presenza del pensiero e della pratica della nonviolenza: la crescita di questo pensiero e di questa pratica deve molto al momento di gioia collettiva e di fratellanza attiva che la marcia ha sempre rappresentato. Oggi essa non ha più solo valore simbolico; essa è ormai qualcosa di più che semplice testimonianza: è concreta ed attiva richiesta di pace fatta ai potenti del mondo, ma anche a se stessi; è impegno civile per la costruzione di una società mondiale solidale.
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Norma Bertullacelli: Credo la continuità e la sua capacità di coinvolgere, specie nelle ultime edizioni, moltissimi/e giovani.
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Cosa caratterizzerà maggiormente la marcia che si terrà il 25 settembre di quest'anno?
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Sergio Albesano: Nel cinquantenario della prima marcia, quest'anno la manifestazione, organizzata anche dal Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e prosecutore del suo pensiero e della sua opera, sarà caratterizzata da un ritorno al suo significato originale di opposizione a tutte le guerre.
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Andrea Cozzo: La parola-chiave, a cinquant'anni dalla prima marcia della pace, sarà la stessa del settembre 1961: "per la pace e la fratellanza dei popoli". Dopo mezzo secolo, la capacità capitiniana di prevedere le esigenze di apertura della società che stava per venire si mostra nella più folgorante evidenza.
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Norma Bertullacelli: Mi addolora moltissimo scriverlo, per il rispetto che provo a chi ha lavorato e lavora per costruire questa grande iniziativa, ma ritengo che il carattere principale della marcia sia l'assenza, certo non casuale, di qualsiasi riferimento alle guerre nelle quali è coinvolta oggi l'Italia. "Le guerre, come le note musicali, hanno un nome ed un cognome" abbiamo scritto qualche tempo fa, dedicando una delle nostre "ore in silenzio per la pace" all'anniversario della morte di John Lennon. E le guerre nelle quali oggi l'Italia è coinvolta, inutili, illegali e criminali, e vietate dalla Costituzione, si chiamano guerra in Libia e guerra in Afghanistan. Non sono le guerre puniche. Come si può scrivere un appello per la Perugia-Assisi senza citarle con nome e cognome? Leggere le parole di Aldo Capitini citate all'inizio dell'appello, "Un solo essere, purchè sia intimamente persuaso, sereno e costante, può fare moltissimo, può mutare situazioni consolidate da secoli, far crollare un vecchiume formatosi per violenza e vile silenzio" (Aldo Capitini, 1966), non mi ha fatto pensare ad un'esortazione rivolta ai marciatori perché si liberino del vecchiume ma alle decine di personaggi che un giorno in parlamento votano la guerra e l'indomani si fanno fotografare tra i marciatori. Personaggi che non sono mancati nel passato e - scommettiamo? - non mancheranno neppure questa volta. E all'inqualificabile silenzio del presidente della repubblica, che sa benissimo che cosa dice l'articolo 11; sa benissimo che sarebbe suo dovere farlo rispettare; sa benissimo che il prestigio internazionale dell'Italia sarebbe molto meglio difeso da progressi scientifici, prodotti artistici, difesa dei diritti, della dignità e della vita dei lavoratori. E che - temo - manderà anche lui il suo bravo messaggio ai "giovani" marciatori; molti dei quali non mancheranno di esserne acriticamente soddisfatti e di continuare a considerarlo l'unico baluardo contro il berlusconismo imperante.
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Qual'è lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?
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Sergio Albesano: Contraddittorio. Da un lato ci sono splendide esperienze, come la risposta nonviolenta delle popolazioni valsusine al passaggio della Tav nella loro valle; dall'altro ci sono le nocive interferenze di gruppi ignoranti che sognano una contrapposizione militare con lo Stato, senza rendersi conto che la loro misera intifada non ha ragioni teoriche e che è perdente sia sul piano concettuale sia su quello militare. Da un lato c'è una crescita della sensibilità generale verso l'ambiente, che è comunque una lotta nonviolenta, e dall'altro la missione militare in Afghanistan prosegue con continuo dispendio di vite umane. E così via.
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Andrea Cozzo: Sempre più diffusa, sempre più chiaramente efficace, sempre più attuale...
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Norma Bertullacelli: Non dispongo di informazioni sufficienti per poter rispondere in modo esauriente; ma certo rimangono, anche tra le persone impegnate politicamente, moltissimi pregiudizi. E il peggiore di tutti è quello di chi considera i nonviolenti delle persone che cercano di evitare conflitti e contrapposizioni. Vorrei citare qui un'iniziativa di cui siamo molto fieri/e: La nostra piccolissima "ora in silenzio per la pace" è giunta ormai alla 480ma settimana e ogni mercoledì cerca di fare, come si diceva una volta, "controinformazione" sulle guerre, sul razzismo e sulle ingiustizie. Non è molto, e la partecipazione è molto varia (dalla decina al migliaio, per intenderci) ma... è meglio di niente, no? (ulteriori informazioni nel sito: www.orainsilenzioperlapace.org)
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale ruolo può svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e gli altri mobimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?
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Sergio Albesano: Può fare e in effetti fa tutto ciò che può limitatamente alle sue piccole forze umane ed economiche. Può essere pietra d'inciampo per una politica troppo sicura dei suoi mezzi militari, coagulo di persuasione verso singoli che riconsiderano il genere di relazioni nella nostra società, punto di raccolta delle attività di coloro che concretamente vogliono dire no alla guerra.
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Andrea Cozzo: Quello stesso che credo Capitini gli abbia assegnato: far conoscere la nonviolenza, mettere insieme i cuori e le azioni delle persone per la realizzazione di un mondo migliore, cioè più aperto.
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Norma Bertullacelli: Cercare, appunto, di sfatare questo pregiudizio: si può fare opposizione contro le inaccettabili ingiustizie imperanti facendo ricorso alle tecniche della nonviolenza e della disobbedienza civile.
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quali i fatti più significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?
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Sergio Albesano: In Italia abbiamo già citato la resistenza in val di Susa contro la Tav, purtroppo disturbata da elementi che sguazzano nei disordini e che nella miopia delle loro vedute non si accorgono di fare un favore al potere. Ma a parte le grandi iniziative che fanno notizia, ciò che conta maggiormente, secondo me, è l'insieme di tutte le attività che in tutto il mondo tante persone, conosciute e sconosciute, conducono con mezzi nonviolenti per opporsi alle ingiustizie. Per citare due nomi famosi Ai Wei Wei e Aung San Suu Kyi; ma molte di più sono le persone i cui nomi non salgono agli onori delle cronache ma che con costanza innalzano il tessuto sociale per questa e per le prossime generazioni.
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Andrea Cozzo: Il "sì" ai quattro referendum, in Italia; le rivoluzioni nonviolente - anche se solo parzialmente - nei paesi arabi.
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Norma Bertullacelli: Certamente le rivoluzioni nei paesi arabi. Dal molto grande al molto piccolo: si sono appena concluse le iniziative in occasione del decennale del g8 di Genova. Non è certo per il fatto che non ci siano stati incidenti al corteo che le si possa definire nonviolente. Ma molte delle occasioni di discussione hanno toccato gli argomenti della nonviolenza e dell'opposizione alla guerra.
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?
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Sergio Albesano: Far rientrare tutte le missioni militari italiane all'estero; riconvertire le industrie militari in produzioni civili; eliminare le basi militari straniere sul suolo nazionale; eliminare le forze armate e riconvertirle in protezione civile e in forze di polizia. Questi sono macro-obiettivi. Nel piccolo, continuare a costruire la cultura della pace, persona per persona, assumendo comportamenti coerenti con l'ideale professato.
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Andrea Cozzo: Le iniziative su cui impegnarsi non mancano, purtroppo: per il non rifinanziamento, in Parlamento, delle campagne belliche in Afghanistan e in Iraq; per la scuola e l'università pubbliche; per una televisione non filogovernativa (qualunque sia il governo); per la legge anticorruzione...
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Norma Bertullacelli: So di non essere originale: la guerra in Libia ed in Afghanistan, che è ormai considerata dall'opinione pubblica un dato di fatto. Ricordate le manifestazioni contro la prima guerra del Golfo? Purtroppo è vero il detto che afferma che ogni guerra giustifica le successive. Quante persone sono scese in piazza contro la guerra in Libia?
La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Che cos'è la nonviolenza e come accostarsi ad essa?", cosa le risponderebbe?
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Sergio Albesano: Ci sarebbero tante spiegazioni tecniche e teoriche da dare, ma a una persona simile cercherei di parlare al cuore, prima che al cervello. Le direi che la nonviolenza è la tenerezza della storia. Che, se immaginiamo la storia delle vicende umane come un organismo, la nonviolenza è la parte amorevole, materna, appunto di tenerezza. Certo, non è solo questo, perché, diceva Capitini, dobbiamo essere duri come pietre contro la guerra; ma si tratta anche in questo caso di una durezza volta a far nascere una tenerezza nuova nei rapporti fra le persone e nella relazione fra esse e il loro futuro. E se poi questa persona mi dicesse: "Va bene, ma che cosa posso fare io concretamente per la nonviolenza?", allora la porterei con me nella più vicina sede del Movimento Nonviolento, dove troverebbe di sicuro qualcosa da fare!
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Andrea Cozzo: Per me la nonviolenza è il tentativo di ricongiungermi continuamente a me stesso e agli altri esseri. Le vie, di numero, sono tante quante sono le persone: perché ognuna scopra la propria ci vogliono determinazione, pazienza, umiltà, amore...
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Norma Bertullacelli: Quanto tempo e quanta voglia di ascoltare ha questa persona? A parte gli scherzi, risponderei che è un modo per lottare contro le ingiustizie che rinuncia volontariamente ad aggredire e colpire la persona dell'avversario. È efficace, ma sconosciuta. È spesso confusa con passività ed acquiescenza, ma è il suo contrario. È basata sull'educazione, l'autoeducazione e soprattutto la coscienza. E rimanderei agli scritti di don Milani, tanto per cominciare...
Note biografiche degli intervistati:
Andrea Cozzo: Insegna Lingua e letteratura greca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo, dove ha tenuto per otto anni anche un Laboratorio di Teoria e pratica della nonviolenza. Ha tenuto corsi di formazione alla nonviolenza per le Forze dell'ordine, per studenti e docenti, per Centri sociali.
Norma Bertullacelli: Presidente del Centro Ligure di document-azione per la pace di Genova