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C'è bisogno di radicalità

Questioni terminologiche essenziali. Torno su un tema che mi sembra rilevante.

Continuo a non capire cosa significhi identificare un'area politica con il termine "progressismo", una definizione ottocentesca che individua nel "progresso" in quanto tale l'elemento del miglioramento delle condizioni di vita della società.

Cosa significa "progressismo" di fronte al rischio di una guerra nucleare, cosa significa di fronte al dilagare delle disuguaglianze sociali, cosa significa di fronte al dominio della finanza sull'economia reale, cosa significa di fronte alle drammatiche questioni ambientali, cosa significa di fronte alle minacce di affermazioni autocratiche?

Io penso che la categoria politica da utilizzare dovrebbe essere invece quella della “radicalità”; le questioni sopra indicate hanno bisogno di radicalità, di una visione in grado di modificare alle radici i comportamenti che stanno conducendo la società al disastro.

I caratteri in larghissima parte nuovi della pluralità di crisi che stiamo vivendo implicherebbero una profonda critica dell'idea di progresso - spesso declinata in termini di un riformismo a tutto vantaggio delle élites - e la definizione, appunto, di una radicalità in grado di dare risposte immediate proprio alla condizione incognita nella quale siamo precipitati per molti versi a causa del progresso; dalle innovazioni devastanti della finanziarizzazione, alle distonie della globalizzazione, alle tecniche di ipersfruttamento delle risorse. In questo senso, la radicalità non rappresenta certo il rifiuto della dimensione scientifica, ma l'abbandono dello scientismo, della ideologizzazione del progresso destinato a togliere spazi di umanità e di comunità.

Solo la radicalità può oggi restituire alla democrazia la prerogativa di essere giusta e reale.

(Post su facebook del 5 ottobre 2022)