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Sono la violenza! ... Il mio fine ultimo: potere e controllo

«Sono la violenza!

Cosa sono? Chi sono? Sono tante cose in una sola, un solo nome per molteplici facce…. Definirmi, riconoscere la mia esistenza è stata una mossa astuta: “Se la conosci la eviti, se la conosci non ti uccide”. Sarebbe dovuta suonare così la campagna per porre fine alla mia esistenza!
E invece no, eccomi qui viva e vegeta, forte dei miei mille trasformismi, degli articoli di giornale, degli infiniti dibattiti sui social, di intere trasmissioni dedicate alle mie esternazioni più efferate e, proprio per questo, spettacolarizzate.

Il luogo comune, lo stereotipo (sai quelle frasi, quei comportamenti così accattivanti da diventare slogan, mantra che di ascetico han ben poco) sono la prima forma di condizionamento
Posso essere il "no" che non conta, perché l'unica risposta ammessa è "sì". Il "no" in talune circostanze, lo stereotipo racconta, non è una opzione praticabile, semplicemente perché non esiste.

Il mio terreno fertile è nel quotidiano, in quelle zone d'ombra che non si ha voglia di vedere, è in un volto qualsiasi, in un mondo qualsiasi, in un tempo qualsiasi. Io non ho bisogno della specialità, dello straordinario per proliferare.

Il mio fine ultimo: potere e controllo».

Lo dice Sara Masseroni, ambassador del Progetto Libellula, negli stralci di una sua lettera, ma già lo dice da anni chi scruta con fondato sospetto gli ambiti dell’educazione. La discriminazione si annida sui banchi di scuola, e già in quella della prima infanzia.
Irene Biemmi, ricercatrice nel Dipartimento di Scienze Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, nel 2010 ha pubblicato “Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari”.

Durante una piacevole conferenza sul linguaggio, tenuta il 19 ottobre 2019 a Verona, ha comparato un libro di testo delle elementari, risalente al 1959, con quelli di oggi. Nonostante il panorama scolastico sia nel frattempo profondamente mutato, i libri continuano a perpetuare stereotipi fuorvianti.

«La scuola italiana è la più femminilizzata d’Europa – ha sottolineato la ricercatrice – ; è considerata un “luogo rosa” non solo per la consistenza numerica delle donne, pari all’83% del corpo docente, ma anche perché percepita come “luogo amico” dal punto di vista lavorativo. Dagli anni Ottanta anche le studentesse prevalgono sugli studenti maschi, non soltanto per numero ma anche per rendimento scolastico. Eppure, oltre le statistiche, la scuola, da quella d’infanzia alla secondaria di secondo grado, si rivela ben poco amica delle donne».


Se profonde discriminazioni persistono in molti libri di testo e vengono assorbite in modo subdolo proprio attraverso l’educazione, come potrà la legge contrastare la violenza di genere?

In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, pensiamoci: oltre lo slogan #nonènormalechesianormale, la violenza va anzitutto prevenuta… e si può cominciare proprio dall’infanzia.