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Genocidio in Libia

Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale: 1911-1931». Un modo per ricordare la necessità della pace
di Mario Pancera
Il titolo e il sommario sono esattamente quelli di un libro del giornalista italoamericano Eric Salerno (Sugarco, 1979). Sono anniversari da ricordare. Il libro, diversi i nomi dei protagonisti e le date, va letto con gli occhi e l’animo rattristato di oggi. Non ci aggiungo nulla: il lettore capisce da sé, in questa enorme crisi mondiale, la crisi dell’Africa, che è soprattutto lo scontro tra ricchi e poveri, capitale e lavoro, Occidente e non, e purtroppo ancora tra “bianchi” e “negri”. Era la «nostra» guerra  in Libia. Ed era la «prima». È da seguire, perché con la guerra l’uomo civile abdica alla sua dignità. I testi tra virgolette sono tutti ripresi dal dossier di Eric Salerno.

«Nell’agosto 1912 il finanziere italiano Nogara disse all’addetto militare francese che gli italiani erano costretti a minimizzare il numero delle vittime arabe e che gli sembrava assurdo conquistare un paese ammazzandone gli abitanti. Altri più tardi confermarono quest’impressione calcolando che la Cirenaica aveva perso dal 1911 al 1914 quasi due terzi dei suoi abitanti: 180 mila su 300 mila». Sergio Romano: La quarta sponda (Romano, ex diplomatico, collabora oggi al Corriere  della sera). Tre anni di massacri.

«Se mi obbligate alla guerra, la farò con criteri e con mezzi potenti, di cui rimarrà il ricordo. Nessun ribelle avrà più pace: né lui, né la sua famiglia, né i suoi arredi, né i suoi armenti. Distruggerò tutto, uomini e cose. Questa è la mia prima parola, ma è anche l’ultima». Badoglio (Manca l’indicazione del luogo e della data. Pietro Badoglio, 1871-1956, è un generale famoso, per vittorie e sconfitte. Ha comandato e seppellito migliaia di uomini. È l’uomo del disastro dell’8 settembre 1 943).

«Una spedizione di otto apparecchi fu inviata su Gifa […] Un punto nel deserto. Fu rintracciata perché gli equipaggi, navigando a pochi metri da terra, poterono seguire le piste dei fuggiaschi e trovarono finalmente sotto di sé un formicolio di genti in fermento; uomini, donne, cammelli, greggi; con quella promiscuità tumultuante che si riscontra solo nelle masse sotto l’incubo di un cataclisma; una moltitudine che non aveva forma, come lo spavento e la  disperazione di cui era preda; e su di essa piovve, con gettate di acciaio rovente, la punizione che meritava. Quando le bombe furono esaurite, gli aeroplani scesero più bassi per provare le mitragliatrici. Funzionavano benissimo. Nessuno voleva essere il primo ad andarsene perché ognuno aveva preso gusto a quel gioco nuovo e divertentissimo. E quando finalmente rientrammo a Sirte, il battesimo del fuoco fu festeggiato con parecchie bottiglie di spumante».Questo brano è preso da Ali sul deserto di Vincenzo Biani (Bemporad, 1934).

Siamo passati dalla guerra voluta dal governo liberale del grande mentitore politico Giolitti a quella del governo fascista di Mussolini. Eccone qualcun altro: «I più fortunati furono gli sciacalli che trovarono pasti abbondanti alla loro fame […] Un branco di cammelli, colpiti in pieno, si abbatterono al suolo sull’orlo di un burrone  precipitando dentro, l’uno sull’altro. Da quella massa informe ancora agitata dai contorcimenti della rapida agonia, un rivolo di sangue allagò il fondo della valle, come allo zampillare d’una improvvisa sorgente. Arriva su fino in alto l’odore dell’esplosivo bruciato».

Si sente la gioia del bombardatore europeo che fa il poeta sul massacro degli africani e dei loro armenti. Continua: «Una volta furono adoperate alcune bombe ad yprite […] ed esse produssero un effetto così sorprendente che i bersagliati si precipitarono a depositare le armi.» E chi non lo avrebbe fatto sotto l’effetto di gas? E il ministro fascista delle colonie, Emilio De Bono, telegrafava al generale Rodolfo Graziani (diventato nel 1943-45, capo dell’esercito della repubblica fascista di Salò, e poi iscritto al Msi): «…tenga presente che qualunque atto da noi fatto verso quella gentaglia senza fede, è da ritenersi giustificato». Senza fede! E chi glielo diceva al quadrumviro De Bono, poi traditore del suo stesso “duce”, che i libici non avevano una fede?

Nel 1915, l’inviato Gualtiero Castellini scriveva sulla Gazzetta di Venezia: «La punizione fu data in modo esemplare, non soltanto con fucilazioni in massa, ma con un provvedimento radicale: tutta l’oasi fu perquisita, giardino per giardino, casa per casa, e sgomberata a viva forza…Ancora si scopre qua e là qualche abitatore: ma la scoperta è un fatto straordinario e la fucilazione un gioioso e immediato corollario». Tutti guerrieri, tutti contenti. Nessun commento. Il libro di Salerno è pieno di dati e documenti.
Mario Pancera