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I cooperanti delle Ong impegnate nel Nord Africa si erano accorti da tempo che il consenso alle dittature di Tunisia, Egitto e Libia stava precipitando: non solo tra i giovani senza futuro e i poveri, ma anche tra i professionisti e le classi medie. Bastava andare in bus o nei mercati per ascoltare parole come queste, pronunciate davanti alle onnipresenti gigantografie dei dittatori: “i nostri dirigenti sono ladri, prima o poi ce ne libereremo”. In Occidente i politologi non l’avevano capito, perché abituati a studiare i regimi più che i Paesi, cioè i potenti più che le persone reali. I diplomatici, come quelli americani ben descritti da WikiLeaks, hanno anch’essi guardato al potere dei Palazzi e non alla popolazione fuori dai Palazzi. Mentre i politici sono rimasti prigionieri di una real-politik che non regge più alla prova dei tempi, cioè alla voglia di libertà delle persone.

La violenza che il regime di Gheddafi sta usando e minaccia di usare per reprimere la rivolta iniziata il 15 febbraio scorso ripropone la spinosa questione dell'intervento internazionale, di cosa può fare la comunità internazionale per scongiurare un nuovo bagno di sangue e per sostenere i diritti e la sicurezza dei libici.

Il 2 settembre scorso abbiamo espresso il nostro disgusto per lo "spettacolo indecoroso" in onore di Gheddafi preparato dal capo del governo che ha ostentatamente baciato la mano al dittatore trascurando completamente ogni accenno alla violazione dei diritti umani, alla tragica sorte delle vittime dei respingimenti, a chi muore nel deserto o nelle prigioni libiche. Ora la repressione delle rivolte è spietata. Gruppi armati sparano sulla folla che viene anche bombardata.

Per quale ragione chiedere a un francese, per giunta economista e non romanziere di professione, di prefare l’edizione italiana (editore Emi) di un romanzo già pubblicato in Francia senza prefazione? Si può rispondere alla domanda cercando tra una serie di motivi più o meno validi. Cominciamo dal meno credibile: l’assenza nella penisola di persone qualificate per apprezzare e fare apprezzare il lavoro dell’autore.

"Qualcuno chiedeva: come possono donne che danzano parlarci dei cambiamenti climatici? E qualcuno diceva: cosa sanno le danzatrici del piantare alberi? E altri si meravigliavano: Cosa? Le danzatrici hanno costruito delle scuole? Ma adesso persino il governo riconosce che i nostri tamburi hanno riempito i granai, e le nostre danze hanno costruito scuole".

L’offensiva lanciata dal Marocco contro i difensori sahrawi dei diritti umani a causa delle loro opinioni sulla questione del Sahara Occidentale, ha raggiunto il suo apice l’8 ottobre 2009 con l’arresto di un gruppo di attivisti sahrawi. Il gruppo dei Difensori dei Diritti umani, formato da Ali Salem Tamek, Brahim Dahane, Dagja Lachgar, Ahmed Nasiri, Yahdih Etarouzi, Saleh Lebaihi e Rachid Sghayar e fermato all’aeroporto Mohammed V di Casablanca, è stato portato davanti al Tribunale militare di Rabat.

Aminatu Haidar ha iniziato uno sciopero della fame domenica 15 novembre dopo essere stata espulsa forzatamente dal Marocco e sequestrata dalla Spagna dove si trova tuttora senza la possibilità di rientrare in Sahara Occidentale.

Continuano intanto sia la censura mediatica sia la ferocia della polizia nei territori occupati del Sahara Occidentale, dove i sahrawi sono sottomessi a qualsiasi tipo di repressione.

Invia OGNI MERCOLEDI' DEL MESE DI DICEMBRE  (1-8-15-22-29 DICEMBRE)  questa mail al Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.); perché intervenga nei confronti del Regno del Marocco e del Governo Spagnolo per condannare le violazioni dei diritti umani in Sahara Occidentale, chiedere l'immediata liberazione degli attivisti sahrawi e il rimpatrio in Sahara Occidentale di Aminatu Haidar.

Caro mons. Laurent Mosengwo Pasinya,
arcivescovo di Kinshasa e co-presidente di Pax Christi International,  

cari vescovi africani,
fratelli in Cristo, apostoli del Vangelo di riconciliazione, giustizia e pace,   

intendiamo ringraziarvi con grande affetto per il  Sinodo che avete celebrato l'ottobre scorso e  per il suo messaggio finale "Alzati Africa".