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Dopo la guerra ai poveri condotta da chi afferma di «creare ricchezza» spingendo ai consumi e all'emarginazione dei miseri anziché al lavoro, all'onestà e al risparmio in vista del futuro, si ha per forza di cose la guerra dei poveri. Compressi e schiacciati materialmente e spiritualmente, i poveri non possono fare altro che reagire per sopravvivere. Lo scontro tra ricchezza e povertà non è un incontro tra amici o tra fratelli che intendono aiutarsi o tra missionari e baraccati: è proprio uno scontro, una guerra, un'esplosione di violenza. La guerra si può evitare usando la ragione anziché la sete di potere.

La pelle degli ultimi non conta niente: i poveri vengono uccisi, feriti, affamati, cacciati e, quando protestano in difesa della loro vita, disturbano ancora di più. Non conta che siano uomini, donne, bambini, vecchi o vecchie o in età feconda, bianchi o neri, minorati o di grande intelligenza. La loro pelle serve come uno strofinaccio, cioè un pezzo di stoffa smesso, stracciato e utilizzato solo per gli ultimi e bassi servizi prima della sua fine.

Si può rubare ai poveri? È un impegno dei ricchi. È un loro preciso indirizzo mentale, che prendono molto sul serio. Non parlo di chi diventa benestante con il proprio lavoro, parlo di chi diventa ricco, smisuratamente ricco. Anche i poveri si derubano tra loro, è una gara a chi si salva. Naturalmente pure i ricchi cercano di derubarsi l'un l'altro, ma poiché questa è un'operazione difficile, essa viene tentata di tanto in tanto. In via normale, invece, il furto si accentra sui poveri: è più facile (meno pericoloso per eventuali conseguenze) rubare un euro ciascuno a un miliardo di poveri, che rubare un miliardo a un solo ricco. Fate la prova con l'uomo più ricco d'Italia, ma anche d'America, di Cina, d'Arabia o dello Zimbabwe. Se non ha un profitto, non vi fa nemmeno l'elemosina.

Troppo spesso la "non-conoscenza" aumenta la paura dell'altro e del diverso, riducendolo, magari aiutati dal pregiudizio, semplicemente a luoghi comuni.
Per questo motivo mi piace suggerirvi la lettura del libro "Non chiamatemi zingaro", di Pino Petruzzelli (edizioni chiarelettere), il cui sottotitolo è quanto mai indicativo: "tutti hanno paura dei Rom, ma nessuno li conosce. Perseguitati e diversi da sempre, a loro la parola".
Un libro che si limita semplicemente a dare ai Rom la parola, del quale tuttavia farne una recensione mi sembra di sminuirne i racconti di vita, per cui mi limito a riportarvi alcuni pezzi che hanno attirato la mia attenzione... pezzi sicuramente scollegati, che e estrapolati perdono tanto, ma che spero vi incuriosiscano, aiutando, come è successo con me, la conoscenza.

Gino Buratti