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Siamo in un momento di crisi mondiale che non sembra avere precedenti. Nel secolo scorso due guerre hanno sconvolto buona parte del globo, ma oggi è tutta la terra in gioco dal punto di vista sociale e politico. Ci sono guerre in Africa e in Asia, rivolte locali, ammazzamenti dovuti a criminali organizzati su scala nazionale in America e in Europa. La paura del terrorismo è sempre più diffusa: si temono le bombe nelle città, sui treni, sugli aerei. Grandi operazioni terroristiche o miniterrorismi diffusi. Si moltiplicano le norme per la "sicurezza": siamo spiati ovunque. La libertà è diventata un accessorio.

La vicenda Fini richiama una tecnica ben conosciuta in politica. Quella di inventarsi un nemico interno o esterno per distogliere l'attenzione dalle difficoltà reali. La maggioranza sfugge alla resa dei conti politici e dirige il fuoco mediatico sul presidente della Camera, concentrato di tutti i mali

Per quanto mosso da un narcisismo incontenibile e da un senso di onnipotenza che non conosce limiti, sia nell'arte amatoria che nel governo della cosa pubblica, Silvio Berlusconi non puo' ragionevolmente essere considerato il cinico, diabolico responsabile dei mali che affliggono da millenni il rapporto tra i sessi.

C’è una cosa che stupisce molto nell’intervento di Angelo Panebianco su moralismo e riformismo (Corriere, 11/08). E’ la sicurezza con cui afferma che chiunque ponga al dibattito politico una questione morale si rende responsabile "di una immagine farsesca della politica, come luogo del confronto fra luce e tenebre". Stupisce, perché filosoficamente la questione dei rapporti fra morale e politica è talmente aperta che non è veramente legittimo liquidarla con un paio di battute, mi perdoni Panebianco, tanto sbrigative quanto sprezzanti, neppure nello spazio di una polemica. Tanto più se è vero, come è vero, che è soltanto una fra le posizioni filosofiche in gioco anche la posizione dell’autore: un realismo politico apparentemente associato a un relativismo valoriale e morale, presumibilmente fondato su uno scetticismo radicale (l’ "ineliminabile ambiguità, anche morale" del mondo) in materia di oggettività dei giudizi di valore e/o di fondazione delle norme.

Tratto da "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 66 del 1 giugno 2006
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 maggio 2006]

Sono passati quarant'anni dall'inizio della rivoluzione culturale in Cina, o meglio, da quando il movimento sfuggì dalle mani della burocrazia, dopo il dazebao della giovane Nie Yuanzi il 25 maggio 1966: per breve tempo, giacché nel corso del 1968 (febbraio o dicembre, secondo le varie interpretazioni) era virtualmente conclusa. Esporre nelle linee essenziali le vicende di quel movimento, i suoi contenuti, i motivi della sua eccezionale importanza nella storia mondiale, le ragioni della sua sconfitta e, ad un tempo, della sua attualità, risulta impossibile. Infatti il pubblico al quale ci si rivolge ha subito trent'anni di lavaggio del cervello, più che mai intenso e distruttore nell'ultimo decennio, a proposito non tanto o non solo delle questioni cinesi, quanto della conoscenza e dell'interpretazione della storia degli ultimi due secoli, delle origini e dello sviluppo del movimento operaio internazionale, degli attacchi violenti e ininterrotti ai paesi socialisti (che hanno contribuito a deformarne irrimediabilmente il carattere); per non parlare dei contenuti del pensiero socialista nelle sue diverse correnti, del marxismo critico e antistalinista, della lunga lotta dei popoli asiatici e africani, nel secondo dopoguerra, per formare un fronte di "terzo mondo" disimpegnato dai due blocchi di potenza (distrutto al prezzo di un milione di morti in Indonesia fra il 1965 e il 1966, ad opera dei servizi segreti Usa).
Sbaglia chi lamenta l'assenza di valori nella società di oggi, che in realtà assume il profitto a valore dominante e universale - come Dio indiscutibile e onnipotente. Non solo la conoscenza del pensiero socialista è stata interdetta, ma si è disgregato lo stesso contesto dei valori borghesi, di cui tutti si riempiono la bocca: democrazia, tolleranza, libertà... come le "menzogne viventi" di cui scriveva Sartre nel '62, lanciate dalle città d'Europa in Africa, in Asia: ´"artenone! Fraternità!", risuonano vuote oggi fino nel centro delle metropoli. Hanno la stessa funzione dei "variopinti legami" della società feudale di cui dice il Manifesto del partito comunista. Li ha spazzati via, divorando la stessa borghesia, un padrone anonimo come Dio indiscutibile e onnipotente, che chiamano "mercato" per non usare il termine "capitale", che sarebbe più corretto.