Si può paragonare il luddismo dell’inizio ottocento alle rivolte che in questi giorni infiammano Londra e le città industriali dell’Inghilterra. A prima vista sembrerebbero movimenti addirittura contrapposti: nel primo gli operai distruggevano i telai meccanici dell’industria tessile che riuscivano a fare con un operaio il lavoro che prima ne impegnava 5 o 6; nel secondo i giovani emarginati dalla società inglese e dal suo sistema produttivo, quasi un lumpenproletariat, sfondano vetrine per appropriarsi delle nuove macchine della civiltà industriale: gli schermi al plasma o l’ipod.
Ma nell’uno e nell’altro caso si tratta di un rifiuto-rigetto che riguarda profondamente l’intero sistema sociale, mettendolo di fatto in discussione.
A guardare meglio poi storicamente il luddismo si configurò negli anni dal 1811 al 1816 proprio come una rivolta sociale totale, anche se caotica e disorganizzata; e le grandi sommosse che colpirono l’opinione pubblica inglese, furono represse manu militari. Hobsbawm riferisce che contro i luddisti furono dispiegati più soldati di quelli condotti in Spagna nel 1808 dal duca di Wellington contro Napoleone.
Fu quindi soprattutto epoca di disordini: al mercato di Manchester folle di donne, esasperate si impadronirono dei carretti ed attuarono vendite proletarie a basso prezzo, mentre alcune altre, approfittando della confusione, operavano anche espropri personali di merci.
Il luddismo fu condannato anche dalla ideologia politica di sinistra come uno stadio inferiore della coscienza di classe, ma è indubbio che alcuni suoi lasciti influenzarono l’attività sindacale che negli anni successivi si sviluppò compiutamente, soprattutto su alcuni cardini di fondo come l’orario e le condizioni di lavoro, il lavoro minorile e quello delle donne, i tempi di produzione, i cottimi, etc.
Le rivolte dei giovani di oggi e le loro appropriazioni indebite, i loro violenti espropri, la violenza gratuita e selvaggia sono sicuramente atti da condannare, ma ora come allora sono fenomeni da analizzare per comprendere cosa rappresentano e quali messaggi di fondo contengono, utili a tutti noi.
Intanto si configurano come rivolte di poveri, di coloro che non hanno, che sono esclusi dall’uso dei beni di consumo in un mondo dove il consumo è tutto. Di fatto quindi sono la miccia di una implosione del sistema nelle fondamenta. Un sistema che sul consumo si fonda ma che da esso ne esclude una parte, che comincia ad essere troppo vasta. Questo livello della povertà che si allarga, perché la povertà si definisce soprattutto oggi con la mancanza di beni di consumo, è davvero allarmante, e non può che configurare, almeno nelle menti aperte, una preoccupazione profonda e critica sulla sostanza del sistema sociale che la civiltà industriale-finanziaria ha messo in piedi. Tutti avvertono ormai in maniera chiara che il dominio della finanza, che è più di ogni altro potere è senza scrupoli, sta creando povertà, e di conseguenza imbarbarimento e miseria, perché sta espropriando di tutto una sempre maggior quantità di cittadini. Se con la povertà sempre più diffusa nell’occidente capitalistico salteranno poi i consumi, anche chi ora è al centro del mercato mondiale del lavoro, come gli operai cinesi, ne subirà nefasti effetti.
Il paragone con l’epoca del luddismo a questo punto davvero non sarà peregrino.
Meglio davvero che tutti ci si rifletta su.
Massimo Michelucci – Massa