Due donne (Dacia Maraini)
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Pubblicato sul "Corriere della sera" del 3 giugno 2008 e tratto da "Notizie minime della nonviolenza in cammino", n. 567 del 3 settembre 2008.
Una parola poco amata: "competenza". Sembra che a nessuno importi niente di chi sia competente e chi no in questa confusione di ruoli, di rappresentanze. Quando invece la competenza c'è, si scopre spesso che sono del tutto scomparse la freschezza e la passione. Eppure non possiamo rassegnarci all'idea che competenza significhi automaticamente vecchio cinismo e difesa del posto conquistato. La competenza vera è quella che si rinnova continuamente, che dubita di sè, che è capace di dare senza chiedere niente in cambio.
Aisha lapidata (Giuliana Sgrena)
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Pubblicato su il quotidiano "Il manifesto" del 29 ottobre 2008, tratto da Notizie minime della nonviolenza, n. 625 del 31 ottobre 2008
Aisha Ibrahim Dhuhulow, una donna di 23 anni è stata lapidata a Chisimaio, nel sud della Somalia, a circa 500 chilometri da Mogadiscio. È l'ultimo atto delle Corti islamiche guidate da Hassan Turki e dai miliziani Shabab che hanno conquistato il controllo della città lo scorso 22 agosto, strappandola al governo provvisorio qui rappresentato dal clan dei Marehan appoggiato dalle forze etiopi. La donna è stata condannata per adulterio.
Lettera aperta al Sindaco di Massa (Comitato Usciamo dal Silenzio di Massa Carra
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Caro Sindaco,
le scriviamo dopo aver letto una sua intervista sul settimanale Left (N°19 - 9 Maggio 2008) che ci ha molto colpite e per i contenuti e per i toni.
In quell'intervista lei parla soprattutto di sicurezza, probabilmente perché stimolato in questo senso dalla giornalista, del resto non si sta discutendo d'altro, e fa alcune affermazioni che siamo sicure siano state fraintese.
In un passaggio, in particolare, fa riferimento al problema della prostituzione che forse per necessità di sintesi, sue o del giornale, viene illustrato con il ricorso all'immagine delle "famigliole costrette a passeggiare in mezzo alle battone"; poco sotto spiega che il "disagio sociale che crea l'insicurezza è legato anche all'immigrazione. Non solo clandestina, ma anche di rom e romeni.".
le scriviamo dopo aver letto una sua intervista sul settimanale Left (N°19 - 9 Maggio 2008) che ci ha molto colpite e per i contenuti e per i toni.
In quell'intervista lei parla soprattutto di sicurezza, probabilmente perché stimolato in questo senso dalla giornalista, del resto non si sta discutendo d'altro, e fa alcune affermazioni che siamo sicure siano state fraintese.
In un passaggio, in particolare, fa riferimento al problema della prostituzione che forse per necessità di sintesi, sue o del giornale, viene illustrato con il ricorso all'immagine delle "famigliole costrette a passeggiare in mezzo alle battone"; poco sotto spiega che il "disagio sociale che crea l'insicurezza è legato anche all'immigrazione. Non solo clandestina, ma anche di rom e romeni.".
Streghe (Maria G. Di Rienzo)
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(Pubblicato su “Nonviolenza Femminile Plurale”, n. 191 del 26 giugno 2008)
Da dove viene la strega come mito? La storia delle streghe, l'evidenza storica, vi è stata un pò raccontata negli incontri precedenti e comunque è possibile oggi trovare saggi, ricerche, numeri e nomi, per cui sappiamo ad esempio che la "strega" come figura non nasce con la sua condanna e persecuzione da parte delle chiese cattolica e protestante, sebbene i "tempi dei roghi" siano senz'altro la manifestazione più eclatante e crudele dell'odio per le streghe.
Un corteo di fantasmi (Maria G. Di Rienzo)
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Io non credo alle "donne" come soggetto unico. Siamo differenti l'una dall'altra: i nostri interessi, le nostre speranze, i nostri desideri differiscono. Le circostanze in cui ci troviamo, le nostre prospettive, le risorse che abbiamo a disposizione, sono diverse. Non ho mai pensato di parlare in nome e per conto delle donne: le domande che faccio alle strutture di potere le faccio come femminista, e cioè sapendo che per quanto noi si parli con voci differenti, si abbiano esperienze differenti e si viva in condizioni differenti, tutte dobbiamo confrontarci con ingiustizie e violenze di genere.
Donne, uguaglianza, guerra (Gianformaggio Letizia - 2002)
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Pubblicato su "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 118 del 19 luglio 2007 e tratto dal sito Giuriste d'Italia riprendiamo la seguente relazione tenuta a un seminario sul tema "Donne, diritto, uguaglianza, guerra, multiculturalismo" svoltosi a Bologna il primo marzo 2002.
1. I diritti delle donne afghane
Una ragione essenziale del nostro essere qui, e dell'aver dato vita a "Giudit - Giuriste d'Italia" è l'interesse profondo nutrito per il tema dei diritti delle donne, cioè della libertà, ad esse garantita dal diritto, di scegliere individualmente e coltivare il proprio modo di essere. Perciò ogni volta che questo interesse nella società si approfondisce, e si esprime, non possiamo che essere liete, e fiere.
Ebbene, ci sono alcuni diritti di alcune donne, nei confronti dei quali, di recente, l'interesse si è indubbiamente approfondito, è stato ripetutamente, e con compiacimento, espresso, e poi si è di nuovo prontamente assopito, quando le tremende vicende che lo hanno occasionato non hanno più goduto degli onori delle prime pagine della stampa.
Sono i diritti delle donne afgane, di cui sarebbe stato impossibile, oppure imperdonabile, non parlare in questa sede. Sono i diritti al femminile che, a livello planetario, negli anni recenti (esattamente a partire dal 1996), sono stati calpestati con la maggiore determinazione, intransigenza e violenza. Ma questa tragedia, al di fuori di circoli ristretti e appassionati (circoli di donne, appunto), non ha riscosso nessun interesse.
Nemmeno quel moderato interessamento che la distruzione di alcune statue del Budda ha suscitato a livello tanto dei governi quanto dell'opinione pubblica internazionale. Oggi poi (ma è un oggi che in questa società dell'effimero è già ieri) sono stati issati su equivoche bandiere. Infatti la loro rivendicazione è stata prodotta, se non a motivazione, almeno a parziale giustificazione di un intervento armato di un furore difficilmente digeribile. Un furore che non si esaurisce nelle azioni belliche, che perdurano anche se a video spenti; ma che va oltre, e si esprime contro gli individui catturati nel corso delle suddette azioni.
Gioia e fierezza, dunque, dovrebbero accompagnare ogni progresso sul terreno dei diritti delle donne e della relativa consapevolezza. Ma questa volta invece nutriamo un senso forte di disagio, che non è dovuto solo alla evidente precarietà dei progressi compiuti.
1. I diritti delle donne afghane
Una ragione essenziale del nostro essere qui, e dell'aver dato vita a "Giudit - Giuriste d'Italia" è l'interesse profondo nutrito per il tema dei diritti delle donne, cioè della libertà, ad esse garantita dal diritto, di scegliere individualmente e coltivare il proprio modo di essere. Perciò ogni volta che questo interesse nella società si approfondisce, e si esprime, non possiamo che essere liete, e fiere.
Ebbene, ci sono alcuni diritti di alcune donne, nei confronti dei quali, di recente, l'interesse si è indubbiamente approfondito, è stato ripetutamente, e con compiacimento, espresso, e poi si è di nuovo prontamente assopito, quando le tremende vicende che lo hanno occasionato non hanno più goduto degli onori delle prime pagine della stampa.
Sono i diritti delle donne afgane, di cui sarebbe stato impossibile, oppure imperdonabile, non parlare in questa sede. Sono i diritti al femminile che, a livello planetario, negli anni recenti (esattamente a partire dal 1996), sono stati calpestati con la maggiore determinazione, intransigenza e violenza. Ma questa tragedia, al di fuori di circoli ristretti e appassionati (circoli di donne, appunto), non ha riscosso nessun interesse.
Nemmeno quel moderato interessamento che la distruzione di alcune statue del Budda ha suscitato a livello tanto dei governi quanto dell'opinione pubblica internazionale. Oggi poi (ma è un oggi che in questa società dell'effimero è già ieri) sono stati issati su equivoche bandiere. Infatti la loro rivendicazione è stata prodotta, se non a motivazione, almeno a parziale giustificazione di un intervento armato di un furore difficilmente digeribile. Un furore che non si esaurisce nelle azioni belliche, che perdurano anche se a video spenti; ma che va oltre, e si esprime contro gli individui catturati nel corso delle suddette azioni.
Gioia e fierezza, dunque, dovrebbero accompagnare ogni progresso sul terreno dei diritti delle donne e della relativa consapevolezza. Ma questa volta invece nutriamo un senso forte di disagio, che non è dovuto solo alla evidente precarietà dei progressi compiuti.
Ieri, oggi, domani... la politica (Colombo Laura)
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Pubblicato su "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 119 del 26 luglio 2007, tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo l'intervento di Laura Colombo al seminario su Carla Lonzi "Ti darei un bacio", svolto in occasione della prima edizione delle Giornate di studio dedicate a Gina Guietti, Ferrara, 20-21 aprile 2007.
Quello che dirò oggi - voglio precisarlo subito - è il risultato di scambi in libreria e riflessioni condivise con altre donne e alcuni uomini, ma soprattutto è frutto del confronto stretto e costante con Sara Gandini, una mia coetanea che fa politica con me alla Libreria delle donne di Milano.
L'origine non è l'inizio Io appartengo a una generazione che è venuta dopo le lotte femministe degli anni Settanta e Ottanta. Se c'è una cosa alla quale le donne della mia generazione non possono rinunciare è proprio la forza femminile messa al mondo dal movimento delle donne. Questa forza ha origine dal lavoro politico dei primi gruppi di autocoscienza, caratterizzati dalla ricerca di un'autonomia dallo sguardo maschile e dal tentativo di trovare un senso libero di sè e della propria posizione nel mondo ("Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza" Manifesto di Rivolta Femminile).
Leggendo Carla Lonzi si vede chiaramente come la consapevolezza della mancanza di uno spazio politico per una rappresentazione libera di sè e la necessità di creare uno spazio simbolico per una narrazione autentica sono elementi essenziali che hanno portato all'invenzione di pratiche politiche ancora oggi essenziali. La prima scoperta è stata la pratica di una parola scambiata tra donne a partire da sè, senza astrazioni e nel tentativo di restare fedeli a sè, di non alienarsi, partendo dai propri scacchi, dalle proprie contraddizioni, cosa che implica il mettersi in gioco con i propri desideri, la propria sessualità, le fantasie, le paure, l'inconscio, il rimosso che normalmente non trova parola. (Carla Lonzi parlava di "Far esistere ciò di cui si aveva bisogno").
Quello che dirò oggi - voglio precisarlo subito - è il risultato di scambi in libreria e riflessioni condivise con altre donne e alcuni uomini, ma soprattutto è frutto del confronto stretto e costante con Sara Gandini, una mia coetanea che fa politica con me alla Libreria delle donne di Milano.
L'origine non è l'inizio Io appartengo a una generazione che è venuta dopo le lotte femministe degli anni Settanta e Ottanta. Se c'è una cosa alla quale le donne della mia generazione non possono rinunciare è proprio la forza femminile messa al mondo dal movimento delle donne. Questa forza ha origine dal lavoro politico dei primi gruppi di autocoscienza, caratterizzati dalla ricerca di un'autonomia dallo sguardo maschile e dal tentativo di trovare un senso libero di sè e della propria posizione nel mondo ("Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza" Manifesto di Rivolta Femminile).
Leggendo Carla Lonzi si vede chiaramente come la consapevolezza della mancanza di uno spazio politico per una rappresentazione libera di sè e la necessità di creare uno spazio simbolico per una narrazione autentica sono elementi essenziali che hanno portato all'invenzione di pratiche politiche ancora oggi essenziali. La prima scoperta è stata la pratica di una parola scambiata tra donne a partire da sè, senza astrazioni e nel tentativo di restare fedeli a sè, di non alienarsi, partendo dai propri scacchi, dalle proprie contraddizioni, cosa che implica il mettersi in gioco con i propri desideri, la propria sessualità, le fantasie, le paure, l'inconscio, il rimosso che normalmente non trova parola. (Carla Lonzi parlava di "Far esistere ciò di cui si aveva bisogno").
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