L'allarme sul femminicidio per molto tempo ha lasciato nell'ombra proprio gli autori della violenza. Ma qualcosa sta cambiando anche in Italia, con uno spostamento dell'attenzione dalle vittime ai colpevoli. Una ricerca e un libro su "Il lato oscuro degli uomini". “Il lato oscuro degli uomini” (Ediesse, 2013) nasce dalla constatazione di un vuoto che permane in Italia riguardante gli autori di violenza. Un vuoto tanto più stridente se si pensa che nel nostro Paese gli interventi rivolti alle donne che ne sono oggetto hanno una lunga e forte storia frutto delle lotte dei movimenti femminili e femministi dagli anni Ottanta a oggi. L’attenzione alla violenza di genere e il disvelamento che è iniziato hanno giustamente fatto concentrare l’interesse sul soggetto femminile. Si è così venuto a creare non soltanto un senso di solidarietà, doveroso e presente, ma ancor più una sorta di responsabilità collettiva volta a sostenere percorsi di uscita dalla violenza e di ricostruzione di strategie autonome di vita in un cammino di libertà.
Nel frattempo è rimasta silente e inesplorata la questione maschile che invece tutta la violenza di genere sottende; caso mai si è guardato alla insufficienza delle norme repressive come unica risposta da parte delle politiche pubbliche, una risposta che da un lato isola i comportamenti violenti maschili facendone casi eccezionali, patologici, dall’altro lascia inalterati i modelli culturali fondati su equilibri patriarcali di potere.
Questo schema di pensiero ha fatto sì che di fronte agli avvenimenti delittuosi che si sono succeduti in maniera serrata negli ultimi tempi – comunemente definiti femminicidi (v. scheda su questo stesso sito, ndr) – la risposta delle istituzioni governative sia stata rivolta pressoché totalmente all’inasprimento delle pene e più complessivamente risponda a una impostazione di impianto securitario, per affrontare quella che in tal modo continua ad essere percepita come un’emergenza, non come una tragica condizione di normalità. (…)
Ciò non significa, tuttavia, che nella società italiana la situazione rimanga immobile su questi temi. Indubbiamente, sia pure con una certa timidezza e in settori ancora limitati soprattutto agli addetti ai lavori, la questione maschile inizia a profilarsi e diviene evidente nello spazio pubblico, a partire dalla violenza di genere che va dai casi più tragici ed eclatanti fino a quel disagio, a quell’inquietudine maschile sommersa e silente che trova la sua espressione più comune negli atti violenti all’interno delle relazioni di intimità. Tanto che tra chi a lungo ha lavorato con le donne nei Centri antiviolenza, ma anche tra uomini «riflessivi», molti sottolineano come si stia verificando uno spostamento di attenzione nella percezione sociale passando dalla vittima agli autori, quasi un salto simbolico, per cui sta diventando senso comune che la violenza sulle donne è prima di tutto un problema maschile.
Proprio perché la sensibilità sociale verso gli autori sta maturando lentamente e solo negli ultimi tempi, i pochi casi di intervento nei confronti degli uomini violenti hanno costituito esperienze di avanguardia. Censirle, ricostruirne l’iter di formazione e analizzarne i metodi di lavoro sono stati gli obiettivi della ricerca che sta alla base di questo volume. (…)
Di seguito, uno stralcio del cap. IV, dedicato a “Responsabilità maschili e politiche pubbliche”, nel quale si analizzano i risultati della ricerca su centri e altre iniziative rivolte a uomini violenti e maltrattanti in Italia
La ricostruzione di come sono nati i casi italiani – centri di ascolto e di presa in carico per il «trattamento» degli uomini maltrattanti (in allegato, la tabella con l'elenco di tutti i centri censiti dalla ricerca, ndr) – ha mostrato con evidenza le diverse strade percorse, frutto di un investimento culturale prima ancora che «terapeutico» di gruppi di operatori e operatrici, più che altro volontari in forma privata, che hanno trovato una possibilità di nascere là dove anche le istituzioni locali hanno fornito loro un qualche sostegno. Ma appunto: si è in genere fatto leva su sensibilità al problema che si sono attivate in diversi contesti, più che su interventi messi in campo da una progettualità sollecitata anche da istituzioni con un piano d’intervento in sinergia e a supporto dei soggetti del privato sociale.
(…) Al momento non c’è un piano nazionale in cui le diverse forme di trattamento, talvolta anche abbastanza distanti le une dalle altre, possano rientrare, dialogare, coordinarsi. Una necessità che alcuni operatori/operatrici sul versante maschile sentono decisamente, sia riferita ai metodi di intervento che ai risultati, anche nell’intento di potere migliorare il livello della loro azione terapeutica o psicoeducativa. (...)
Ciò che appare importante dalla fotografia dei bisogni rilevati è che l’insieme delle iniziative rivolte agli uomini non rimangano isolate, non si muovano in maniera atomizzata. Servono sedi di confronto tra voci diverse, tali da permettere una comunicazione e uno scambio permanenti per arrivare ad un coordinamento nazionale, sia pure senza inficiare l’autonomia delle singole realtà. Una domanda emersa con chiarezza dal confronto fatto con chi opera sul tema, a partire dai risultati offerti da questa indagine che per la prima volta in Italia, dando la parola ai protagonisti, ha offerto un panorama delle esperienze esistenti.
È proprio partendo dai primi risultati del lavoro rivolto agli uomini condotto in Italia, e facendo tesoro di quanto decenni di esperienze estere suggeriscono, che si possono trarre indicazioni su come procedere per estendere ad altre aree del Paese questo tipo di servizi e per rendere più efficaci quelli già attivi o in via di costruzione, con una particolare attenzione al Sud dove ci sono alcuni progetti in attesa di realizzazione. Istituire centri, consultori, luoghi di trattamento per uomini violenti/abusanti è una base indispensabile; da qui dunque in Italia occorre iniziare quale condizione preliminare e prioritaria, sia pure non sufficiente. Perché poi, per sviluppare in maniera adeguata queste strutture, occorre dare vita a vere e proprie azioni di sistema che abbiano al centro il «punto di vista» delle donne sulla violenza e dunque un investimento prima di tutto culturale oltre che progettuale e finanziario.
Un ruolo fondamentale in questa prospettiva spetta alle istituzioni, sia centrali che locali, che devono introdurre con decisione il tema della violenza contro le donne nell’agenda politica pubblica (…). Altrettanto fondamentale, nel processo che si deve promuovere e ampliare, è il potenziamento dei saperi e delle competenze professionali relativi alle diverse figure che entrano in contatto con i soggetti maltrattanti. Esse debbono essere potenziate tramite percorsi formativi rivolti ai soggetti che operano con ruoli diversi, sia con competenze «generali» (di tipo organizzativo) che specifiche professionali, sviluppando la capacità di operare in rete: dai centri alle forze dell’ordine ai tribunali, senza escludere i servizi sanitari e sociali. Né possono rimanere estranei i responsabili politici, la cui «sensibilità» al problema è di primaria importanza.
Il Primo Piano Antiviolenza, varato dal Governo italiano nel 2010, non ha preso in considerazione gli interventi che riguardano gli autori. Quanto detto sino ad ora pone l’esigenza che il nuovo Piano triennale inserisca questo come un segmento delle attività rivolte al contrasto della violenza di genere, riconoscendo l’importanza della questione maschile e dei servizi rivolti agli autori. Un riconoscimento ed un’assunzione da parte dell’autorità nazionale di governo impone ovviamente l’individuazione di un adeguato impegno finanziario, che dovrebbe sommarsi a quello di portata ben maggiore, perché vitale, ai Centri antiviolenza.
Lo studio condotto – in sintesi – conferma la necessità di procedere contemporaneamente su più piani come mostrano le esperienze realizzate da tempo in altri paesi, se si vuole affrontare alle radici la violenza di genere in una società in cui continuano a prevalere relazioni asimmetriche tra i sessi, sia pure rivestite di forme moderne, talvolta spregiudicate. Per non parlare dei casi, purtroppo sempre più frequenti, in cui la violenza sbocca nel «femminicidio», punta di un iceberg assai più vasto e profondo. Ci muoviamo in una situazione in transizione tra nuove libertà delle donne e vecchie gerarchie nelle dinamiche di potere, dove alla delegittimazione del patriarcato si accompagna la persistenza di forme di controllo autoritario e violento proprie di un dominio maschile moderno. Le diverse forme di violenza perpetrata verso le donne sono la spia del permanere di asimmetrie nei rapporti di genere, del resistere di stereotipi e contrasti radicati che incidono su valori, atteggiamenti, comportamenti, dinamiche relazionali.
Se da un lato dunque è indispensabile operare a tutto tondo sul piano socio-culturale con interventi che vadano dalla formazione dei meccanismi del consenso alla costruzione della gerarchia di valori cui improntare la vita pubblica e privata, dall’altro al cuore del problema rimangono le dinamiche relazionali fra i sessi che creano una sorta di circolarità dalla sfera dell’intimità a quella pubblica e viceversa.
E quello della violenza di genere si rivela terreno particolarmente delicato poiché, mettendo al centro le vittime, evoca l’immagine di un soggetto debole, oscurando quell’autonomia e libertà femminile che, almeno in parte, è alla base delle reazioni violente maschili. Per questo, mentre sul versante maschile è essenziale che muovendo dall’assunzione di responsabilità si arrivi a guardare alle dinamiche di potere nelle sue basi culturali profonde, sul versante femminile non si può fare a meno di lavorare tramite l’attivazione del legame sociale fra donne e pratiche di empowerment, che sollecitino le risorse femminili nella direzione del cambiamento e le mettano in grado di esercitare maggiore controllo sulle radici del potere, là dove esso ha origine.
elenco-centri-per-uomini-violenti.pdf
Fonte: http://www.ingenere.it