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Non esiste mediazione quando si parla di zingari: il bianco o il nero,
le sfumature non sono ammesse, non vi è posto per loro.
Chi li descrive come fantasia di libertà, paladini di una libertà anarchica andata perduta e  chi come un rifiuto nella storia dell'uomo.
Difficilmente vissuti come singoli individui quali sono.
La maggior parte dei pregiudizi che li riguarda è spietata: pregiudizi diffusi li definiscono ladri e  bugiardi, quando non immaginati intenti nella vendita dei loro figli o nel rubare i figli degli altri per venderli.

Tre giorni fa uscendo da una classe a fine mattinata, ho avuto modo di scambiare quattro parole con il bidello che si accingeva alle pulizie.

“Siamo messi male, non c'è niente di buono da aspettarsi da questi ragazzi!” “Effettivamente sono maleducati e non sono capaci di un dialogo e di un confronto serio: ma devono ancora crescere! Quando arrivano in quinta (anche se non tutti) sono diversi: la scuola e la vita li hanno un po' formati!” “Mah! Non mi pare proprio: il nostro futuro non lo vedo roseo. La nostra vecchiaia non è in buone mani!”.

Ho trascorso il mese di agosto a Muhanga. Muhanga non è un rinomato luogo di villeggiatura ma un villaggio cosparso di capanne di fango e paglia,immerso nella foresta equatoriale, nel territorio del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo.Già l'anno scorso avevo visitato Muhanga,ma, dopo esserci immersi in una realtà così diversa dalla nostra,dopo aver apprezzato i valori di una vita condotta con semplicità e grande dignità,dopo aver condiviso in modo intenso momenti di vita partecipando alle  riunioni,al lavoro comunitario,sgranando mais e pulendo manioca,dopo aver giocato,cantato, pregato con i bambini,splendide creature dal sorriso dolcissimo,non si può fare a meno di tornare.