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Informiamo tutti i gruppi, movimenti, gestori di mezzi di informazione e tutte le persone interessate, che è stata lanciata la campagna  “Congelamento del debito”  per richiedere l'immediata sospensione del pagamento di interessi e capitale del debito pubblico italiano, con contemporanea  creazione di un'autorevole commissione d'inchiesta che faccia luce sulla formazione del debito e sulla legittimità di tutte le sue componenti.

Riteniamo che senza una decisa azione dal basso ed una decisa assunzione di responsabilità da parte dei suoi cittadini, questo paese è condannato ad una perdita progressiva di sovranità e ad un  peggioramento crescente della qualità della vita dei singoli e della  collettività.

Pertanto invitiamo tutti coloro che condividono le finalità della campagna, non solo ad aderire sottoscrivendo l'iniziativa, ma anche a darne la più ampia diffusione con tutti i mezzi che ciascuno ha a propria disposizione.

Per accedere al testo della campagna e alle modalità di sottoscrizione, basta collegarsi  al sito http://www.cnms.it/campagna_congelamento_debito. Il sito contiene anche un forum di discussione per consentire a chiunque di portare il proprio contributo di idee e condividere documenti inerenti il tema.

Vecchiano 22 Settembre 2011


Per ulteriori informazioni rivolgersi a Francesco Gesualdi <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.> o a Aldo Zanchetta <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>

"Uno sviluppo fondato sull'incessante aumento dei redditi, dei beni e dei consumi individuali, da un lato non arriva a coprire le necessita' di tutti, e dall'altro non soddisfa vaste parti della societa' che pur ne usufruiscono, perche' e' uno sviluppo che non migliora la qualita' della vita". Queste parole sono parte di un articolo pubblicato su "l'Unita'" del 21 settembre 1981; titolo: "Con forza e con fiducia"; firma: Enrico Berlinguer. Un evidente antefatto del famoso discorso su "L'austerita'", peraltro - come noto - pochissimo apprezzato dalla base del Pci, gia' allora anch'essa sedotta dal produttivismo che a ritmi accelerati andava imponendosi nel mondo.

Nel 1980 la marcia contro gli operai organizzata dalla Fiat servì per imporre una ristrutturazione produttiva senza precedenti. Decine di migliaia di lavoratori furono costretti a lasciare la fabbrica. Da quel momento i rapporti sociali iniziarono a mutare rapidamente e sempre a favore dell'impresa. Ma l'azienda, che pure aveva imposto inflessibilmente il suo primato, non ebbe la tentazione di chiudere la fabbrica al sindacato sconfitto.

I problemi che stiamo vivendo in questo preciso momento storico, siano essi di carattere economico piuttosto che finanziario, sociale o ambientale, non possono essere risolti con le pseudo-soluzioni offerte dal mondo politico-economico. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno non è altra (improbabile) crescita economica, che invece di attenuare le disparità sociali le aumenterebbe ulteriormente. Non sono le pur utilissime innovazioni tecnologiche, affatto in grado di risolvere, nonostante la presunzione, i maggiori problemi ambientali.

L'effetto congiunto della globalizzazione, della crisi economica e dei cambiamenti climatici (tre processi interdipendenti) mette a rischio se non la sopravvivenza del nostro pianeta, certamente quella dell'umana convivenza. Stiamo entrando in un'epoca di grandi sconvolgimenti: ambientali, economici, geopolitici. Possono aprire la strada a immani catastrofi, al moltiplicarsi delle guerre, all'affermarsi di regimi sempre più autoritari, all'aggravarsi delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani. Ma grandi sconvolgimenti comportano anche grandi cambiamenti: dentro i quali c'è spazio per prospettive che fino a pochi anni fa potevano sembrare utopiche. Per questo occorre tornare a pensare alla grande; osare imboccare vie nuove; confidando che quello che vogliamo noi stanno cercando di farlo, in condizioni e con modalità anche molto diverse, milioni e forse miliardi di altri come noi; e che le nostre strade potranno incontrarsi.

Nel corso degli ultimi decenni, in quasi tutto il mondo «sviluppato», i redditi da lavoro dipendente hanno subito una riduzione di circa dieci punti percentuali di Pil a favore dei redditi da capitale e dei compensi professionali.
L'aumento delle differenziazioni salariali e la diffusione del precariato ha reso questa redistribuzione ancora più iniqua, moltiplicando la schiera dei senza salario e dei working poor, cioè di coloro che pur lavorando non riescono a raggiungere un reddito sufficiente per vivere decentemente. La crisi ha messo in luce - e continuerà a farlo per anni - la profondità di questa trasformazione.