Innanzi tutto permettetemi di ringraziare la CGIL di Massa Carrara per questa iniziativa che vuole portare il ragionamento su pace e guerra anche nei luoghi di lavoro, nella consapevolezza che siamo chiamati tutti a confrontarci sulle ragioni della pace ovunque.
Ovviamente la mia prospettiva non è certo neutrale, come d'altra parte né la scelta della pace né la scelta dell'opzione militare lo sono.
Generalmente nei media si parla dell'opzione della cultura della pace sempre quando un conflitto è scoppiato con la classica domanda “E ora cosa proponete?”, come se la pace fosse una ricetta istantanea, non connessa con un cambio di paradigma del modello di sviluppo, come se fosse qualcosa di separato dall'idea di solidarietà, di giustizia, di riequilibrio delle risorse e delle relazioni tra gli stati, come una scelta alternativa alla cultura militarista.
Ormai la guerra ci viene proposta, nel miglior dei casi, come un male inevitabile per ripristinare un ordine e un diritto, che di volta in volta cambia a seconda delle latitudini, talvolta per esportare la democrazia e non ci rendiamo conto che passo dopo passo siamo dentro la terza guerra mondiale a pezzi, come sostiene Papa Francesco.
Siamo avvolti da un Pensiero Unico Bellicista che avvolge le nostre vite, la politica e tutti i media facendo tabula rasa del bisogno di dubbio, che ci dovrebbe accompagnare ogni qual volta analizziamo un fenomeno complesso quali sono, soprattutto, i rapporti tra i popoli, le nazioni, i conflitti e le guerre.
Il fallimento della logica militare e del pensiero unico bellicista
Se provassimo, abitando il dubbio con un minimo di senso critico, a rileggere i conflitti di questi ultimi 50 anni potremmo trarne alcune indicazioni.
La prima riguarda la complessità, nel senso che ogni conflitto non nasce mai all'improvviso, ha un ieri, un oggi e un domani.
Non possiamo comprendere il conflitto di oggi, se non siamo capaci di immergerci anche in quello che è accaduto ieri e, non da meno, se non proviamo ad immaginare quale sarà il domani che vogliamo disegnare con le nostre valutazione e le scelte che andiamo ad operare.
Sicuramente questa modalità di stare nel problema, accogliendo anche la sfida di abitare il dubbio, di frequentare le diverse prospettive e punti di vista, partendo prima di tutto dal riconoscimento dell'altro, anche quando questo è il nemico, è faticosa, ma al tempo stesso è l'unica che ci permette di comprendere e valutare un fenomeno (che non significa giustificarlo) e che ci rende persone veramente libere, animate dal senso critico e capaci di accogliere il dubbio.
Ed invece tutto si limita - negli spazi culturali, nella politica, nelle relazioni internazionali, ma anche in quelle personali - al gioco di schierarsi, in un susseguirsi di atteggiamenti più o meno aggressivi nei confronti di chi invita a cogliere la complessità delle situazioni e cercare di riconoscere anche nel nemico una persona umana.
Il secondo aspetto che una rilettura di questi ultimi 50 anni di scelte militari ci può suggerire , è che tutti i conflitti nascono sempre e si sviluppano, assumendo contorni sempre più ampi e devastanti, sulla base del principio di azione e reazione, in un vortice progressivo che può anche non finire mai. Ma non possiamo dimenticare che anche l'azione e reazione di oggi ha un ieri e disegna un domani, che può essere più o meno funesto a seconda se saremo capaci di rompere questo circolo vizioso.
La storia di questi ultimi 50 anni ci dice chiaramente che l'opzione militare per risolvere le controversie internazionali (che la nostra costituzione “ripudia”, verbo forte!) non crea condizioni di maggiore convivenza pacifica, ma anzi crea situazioni in cui i conflitti si rigenerano e si facilita la radicalizzazione delle posizioni (radicalizzazione guardate bene che non riguarda solo il mondo medio orientale, ma anche quello occidentale).
Pensiamo semplicemente all'azione – reazione conseguente all'attacco alle Torri Gemelle (guerre in Iraq e Afghanistan) o alla stessa più recente invasione Russa in Ucraina.
Non diversa è la realtà israeliana – palestinese di questi ultimi 70 anni, affrontata esclusivamente in chiave militare (pensiamo solo all'affossamento degli accordi di Oslo) che ha semplicemente costruito distanze abissali tra il mondo palestinese e quello israeliano, grazie anche alle politiche di Israele che, in continuo stato di guerra, ha difeso i suoi confini costruendo muri, assediando Gaza, negando parità di diritti ai palestinesi e, sopratutto, occupando il territorio assegnato dalle Nazioni Unite ai palestinesi con i coloni (favorendo così una radicalizzazione).
La logica “dell'occhio per occhio” rende il mondo solo più cieco, creando una situazione crescente di instabilità ed un vortice di ulteriore violenza.
L'ipocrisia di chi pensa che la guerra possa essere umanizzata
Quante volte nei nostri media sentiamo ripetere l'appello alle parti in guerra di proteggere le vittime civili. Questa richiesta, legittima, è una grande ipocrisia perché ignora che dalla seconda guerra mondiale in poi il numero di vittime civili nei conflitti è aumentato esponenzialmente e questo proprio perché la guerra moderna deve seminare terrore.
Prima Guerra Mondiale |
35,00% |
Seconda Guerra Mondiale |
50,00% |
Guerra in Corea |
50,00% |
Vietnam |
58,00% |
Guerra Civile in Nigeria (Biafra) |
50,00% |
Cambogia |
69,00% |
Afghanistan (intervento Russo) |
67,00% |
Sudan |
97,00% |
Cecenia |
99,00% |
D'altra parte quando ormai la seconda guerra mondiale era al termine, ed era imminente la capitolazione di Germania e Giappone, anche gli Alleati hanno pensato di distruggere con i bombardamenti le città tedesche di Amburgo e Dresda (Berlino in proporzione ha subito meno vittime civili) e sperimentare su Hiroshima e Nagasaki le bombe nucleari, per affermare il potere.
Come si può pensare che una guerra condotta con raid di missili su Gaza possa preservare la popolazione civile?
Con gli strumenti e le strategie attuali non può esistere una guerra che non colpisca principalmente i civili.
Oserei quasi dire che è proprio il terrore che si genera colpendo i civili e le strutture civili che è funzionale alla guerra stessa
La scelta di una prospettiva di pace e nonviolenta
E' necessario assolutamente interrompere questa spirale e per farlo è necessario che la comunità internazionale tutta faccia pressioni sui contendenti per un cessate il fuoco immediato, ma anche per l'apertura di un negoziato che tenga conto delle ragioni di entrambe le parti, senza negare i torti commessi dai contendenti.
La comunità internazionale non è chiamata a schierarsi alimentando un conflitto, magari con invio di armi e aiuti economici, ma è chiamata a svolgere il ruolo di mediazione e di pressione affinché entrambe le parti inizino un confronto, che si basi però sull'ascolto delle ragioni dell'altro. fronte al fallimento delle politiche militari, la strada da percorre rimane quella della nonviolenza come processo per risolvere le controversie internazionali, accompagnando le parti in causa in un processo di reciproco riconoscimento; facendo scelte politiche che sappiano leggere quello che è successo oggi alla luce dei fatti di ieri, senza però rimanere ancorati a quelli, e pensando a quale domani di relazioni internazionali vogliamo costruire.
Ma affinché un processo del genere diventi strutturale, è necessario adottare politiche e comportamenti, individuali e istituzionali, che favoriscano la costruzione di un tessuto culturale, sociale e politico in tale senso.
L'aumento delle spese militari comporta aumento di insicurezza
Le armi sono merci, si producono per essere vendute e per essere sostituite da strumenti ancora più efficaci per uccidere. Si può investire in borsa scommettendo sull'uso delle armi... e sulle guerre, ricavando profitti enormi...
L'incremento della produzione di armi e delle spese militari non favorisce la creazione di un mondo più sicuro e più giusto, ma anzi l'opposto un mondo più insicuro, più diseguale ed in conflitto permanente, più o meno latente.
La proposta di aumentare la produzione di armi per assicurare sicurezza all'Europa è una falsità, perché tale obiettivo comporterà l'aumento delle spese militari della Russia, e avvicinerà sempre di più il mondo verso il baratro di una guerra nucleare.
Anzi proprio con le due guerre in corso vicine all'Europa è aumentata in maniera esponenziale, e di conseguenza i proventi, delle industrie militari di tutto il mondo, Italia in testa. Non solo proprio in questo dramma di Gaza sono aumentate le esportazioni di armi verso Israele,
Se la nuova corsa al riarmo è una follia, la strada nuova da intraprendere è proprio quella del disarmo. Questo ci impone di pensare diversamente le relazioni internazionali e, come ha detto papa Francesco nell'Angelus del 3 marzo scorso, “questo richiede il coraggio da parte di tutti i membri della grande famiglia delle Nazioni di passare dall’equilibrio della paura all’equilibrio della fiducia”.
La scelta della pace
L’unica via per fermare la follia criminale delle guerre ed eliminare il rischio di un conflitto nucleare, è unire le forze, assumere le nostre responsabilità civiche e democratiche, schierarsi per la pace, per il diritto internazionale, per la riconversione civile e sostenibile dell’economia, promuovendo la cooperazione e la sovranità dei popoli, eliminando vecchie e nuove forme di colonialismo insieme alla politica dei “due pesi e due misure”, alla sicurezza impostata sulla deterrenza nucleare e sui blocchi militari contrapposti; abbiamo il compito di costruire insieme una società globale pacifica, nonviolenta, responsabile, per consegnare alle future generazioni un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto.
Non ci sarà giustizia sociale e climatica, lavoro dignitoso e piena democrazia in un mondo sempre più in guerra, che usa le risorse per la morte e non per la vita, nel quale la giustizia, il diritto internazionale e umanitario vengono calpestati nell’impunità dei colpevoli.
La guerra non è mai una soluzione e l’orrore non deve diventare un’abitudine.
La scelta di praticare la pace è possibile. Le proposte
Per imboccare una strada alternativa a quella della logica militare, che ad oggi ci ha consegnato un mondo più insicuro e più diseguale, è necessario investire negli strumenti, nelle conoscenze e nell'organizzazione di un modello di difesa e di intervento in area di conflitto nonviolento.
E' quindi necessario procedere ad una riduzione delle spese militari e degli investimenti in nuovi armamenti per finanziare un modello alternativo nonviolento. Una riduzione inizialmente parziale, che tuttavia non solo permette di creare una struttura e corpi civili di pace, ma che permette di reinvestire in sanità, istruzione, politiche sociali...
Le riduzioni dal bilancio del Ministero della Difesa e i relativi risparmi:
- Riduzione personale della DifesaRisparmio di 600 milioni sul bilancio 2024
- Non procedere alle ipotesi di riforma attualmente in Parlamento che vorrebbero rialzare i numeri totali di effettivi militari (con conseguente aumento dei bilanci propri delle singole componenti della Difesa) realizzando invece definitivamente la cosiddetta “Riforma Di Paola”, rendendo strutturale la dotazione organica pianificata di 150.000 effettivi con riequilibrio della distribuzione interna dei gradi nelle gerarchie militari.
- Taglio dei programmi militari finanziati dal MIMITRisparmio di 1.250 milioni sul bilancio 2024
- Ridurre gli stanziamenti diretti e i finanziamenti pluriennali per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma in capo al’ ex Ministero dello Sviluppo Economico (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy) in particolare per quanto riguarda programmi navali e aeronautici.
- Taglio delle acquisizioni di nuovi sistemi d’armaRisparmio di almeno 2.500 milioni sul bilancio 2024
- Ridurre gli stanziamenti diretti e i finanziamenti pluriennali per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma in capo al Ministero della Difesa, in particolare per programmi terrestri e aeronautici (e meno di un mese fa il governo ha deciso di investire 8 miliardi di euro per alcuni anni, per l'acquisto di carri armati , dalla Germania)
- Drastica riduzione delle missioni militariRisparmio di 750 milioni sul bilancio 2024
- Terminare con effetto immediato le missioni militari all’estero che mantengono proiezione armata in aree di conflitto e/o protezione di interessi fossili, mantenendo attive solo reali missioni di pace promosse dalle Nazioni Unite.
TOTALE risparmio sul bilancio 2024: 5.100 milioni di euro
Gli investimenti verso un sistema di difesa nonviolenta
- Rilancio ed implementazione della sperimentazione dei Corpi civili di Pace, a livello europeo e nazionale.
- Implementazione del “Dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta” proposto dalla campagna “Un’altra difesa è possibile” con previsione di una struttura e professionale di Corpi Civili di Pace oltre che di un Istituto di ricerca su pace e disarmo.
- Riconversione dell’industria a produzione militare
- Prevedere una legge nazionale per la riconversione dell’industria militare e dei distretti con produzione militare
- Valorizzazione dei territori liberati da servitù militare
- Selezione di 20 servitù militari da riconvertire per progetti di sviluppo locale in territori colpiti da crisi con obiettivo di creare reddito, occupazione e sviluppo in settori strategici.
- Costo di 100 milioni di euro sul Bilancio 2024
- Costo di 200 milioni di euro sul Bilancio 2024
- Costo di 200 milioni di euro sul bilancio 2024
TOTALE costi sul bilancio 2024: 500 milioni di euro
(con un recupero di 4 miliardi e 600 milioni da reinvestire su sanità , istruzione…)
Concludiamo con un dato tratto dal rapporto di Greenpecae riferito all’Italia:
se nella Difesa 1 miliardo di euro può creare 3 mila nuovi posti di lavoro, investito nell’Istruzione ne creerebbe quasi 14 mila, nella Sanità più di 12 mila e quasi 10 mila nella protezione ambientale.
Cambiare paradigma e sentiero è possibile, ma occorre fare scelte precise e che vanno in direzione opposta. Si tratta di ridurre le spese militari e di investire risorse umane, economiche e di conoscenza verso scelte di pace: governo democratico internazionale per la gestione dei conflitti, corpi civili di pace, metodologie e strategie di interposizione, dare organizzazione metodologica ad un know-how sulle strategie e le modalità per gestire un conflitto partendo dalla nonviolenza...
Ma è necessario appunto invertire il cammino che stiamo facendo riducendo gli investimenti militari e aumentando gli investimenti per costruire l'alternativa di pace e nonviolenta.
E soprattutto è necessario capovolgere il pensiero dominante rispetto alle relazioni internazionali e all'idea di essere forti. Mi piace ricordare quanto ieri ha detto papa Francesco nell'invito all'Ucraina a sedersi ad un tavolo di trattative. Aprire un negoziato significa prima di tutto avere la forza di volere salvare prima di tutto le vite umane e poi il coraggio di confrontarsi con il nemico per ascoltare le sue ragioni e i suoi torti.
La stessa cosa sarebbe necessaria in Palestina.
Il Portavoce AAdP
Gino Buratti
Massa, 11 Marzo 2024