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1. Mi ricordo

Mi ricordo di quando nei processi per stupro l'intera società dei maschi metteva sotto accusa la vittima.

Mi ricordo del tempo in cui quella violenza contro le donne era considerata nel codice penale un reato "contro la stirpe" e non contro una persona, e la donna vittima di violenza non era considerata persona, ma carne, e quella violenza la si chiamava "violenza carnale".

Mi ricordo l'anno del Circeo, chi ha la mia età non può dimenticare.

Da allora sono invecchiato di mezzo secolo, e mi sembra che quei tempi non siano ancora finiti, non sia ancora abolito quell'orrore.

Da allora sono invecchiato di mezzo secolo, e so che la lotta fondamentale e decisiva per la liberazione dell'umanità è quella del movimento delle donne.

Ancora una morte annunciata oggi. E scrivere una newsletter sull’ennesimo femminicidio rende la testa e le mani pesanti. Domani è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e, ancora una volta, si susseguiranno manifestazioni, riflessioni e denunce. Ancora una volta, mentre tutto attorno poco o niente cambia.

Ogni volta che una violenza sulle donne viene accompagnata dal commento “se l’è andata a cercare” veniamo colte da un improvviso gelo dentro. Chi mai può “cercare” violenza sul proprio corpo? Sollecitarla, chiederla? Come si può ancora pensare di accusare una donna o una ragazzina che è stata oggetto di violenza? Che società siamo, ancora, se vi è tra noi chi presta il fianco e giustifica il violentatore, perché di “buona famiglia”, perché è stato provocato dall’abbigliamento di lei, dalle sue movenze, dalla sua troppa libertà (…aveva bevuto; tornava a casa da sola, di notte, per una via poco frequentata, ballava in un certo modo…).

Alessandra è stata uccisa a pochi chilometri da noi, a Pastrengo, dal suo ex-compagno, la sera dell’8 giugno. La storia di Alessandra Maffezzoli è identica, purtroppo, a quella di tante altre donne. È una storia che ripercorre uno schema sempre uguale: lei decide di chiudere la relazione, lui la uccide.

La base di un rapporto sessuale è, per definizione, il consenso. Sì vuol dire sì. No vuol dire no.

Ma, troppo spesso, il no, inteso come dissenso al rapporto, sembra non essere sufficiente per qualificare un atto come violenza sessuale, sia a livello giudiziario, sia a livello mediatico, sia a livello di opinione pubblica, con buona crisi della tanto agognata cultura del consenso. Il "no" non basta, si è detto. E non basta perché c'è sempre e comunque una gonna troppo corta, un alcolico di troppo o un capello troppo curato ad aver provocato lo stupratore.