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Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen, Golan: quella di Israele, a un anno dall’attentato di Hamas, è diventata una guerra totale che infiamma l’intero Medioriente. Le conseguenze di medio e lungo termine sulla regione e sul mondo intero potrebbero essere non meno gravi di quanto lo siano gli esiti immediati di una guerra che Tel Aviv conduce non solo impiegando risorse militari senza pari, ma anche facendosi beffe del diritto internazionale, mettendo in atto pratiche che se attuate dai suoi nemici sarebbero bollate come atti gravi di terrorismo, calpestando diritti umani.

La guerra si allarga di fronte in fronte: decine di migliaia i palestinesi uccisi, decine i morti di Israele, e ora centinaia in Libano. Nessuno sa dove si fermerà: diversamente da Gaza, i confini libanesi sono aperti, e per Israele non c’è linea rossa.

Un paese cronicamente e profondamente diviso come il Libano si è trovato unito nella stessa paura: il timore che esploda il telefono o il televisore, il ronzio onnipresente dei droni, i boati dei jet israeliani.

Lungi dall’essere meno di quanto dichiarato dal Ministero della Sanità palestinese, i morti “attribuibili” alla campagna militare in corso a Gaza sarebbero ben al di sopra di quanto fino a oggi riportato, e precisamente ammonterebbero a oltre 185.000 persone, circa il 7,9% della popolazione totale della Striscia. A dirlo è l’ultimo studio apparso sulla rivista scientifica The Lancet, relativo al massacro di civili in corso a Gaza. L’articolo, dal titolo “Contare i morti a Gaza: difficile, ma essenziale”, prova a fare un generico bilancio delle morti causate dal conflitto in corso in Palestina, calcolando il numero di decessi diretti e indiretti – ossia dovuti a malattie, carenza di servizi, ferite incurabili, carestia, e in generale cause direttamente derivate dalla guerra – che lo stato di assedio totale della Striscia avrebbe causato. Stima, dice lo studio, decisamente al ribasso, e certamente destinata a crescere se non viene imposto “un immediato e urgente cessate il fuoco”, che sia capace di garantire “la distribuzione di forniture mediche, cibo, acqua potabile, e ulteriori risorse per i bisogni umani fondamentali”.

La moderatrice dell’incontro presenta gli interlocutori del discorso riportato:

“[…] Penso che (quanto appena detto) si colleghi in maniera eccellente al prossimo referente che prenderà la parola parlandoci dell’impatto dell’occupazione di Israele in Cis-Giordania (“West Bank”), del conflitto in corso a Gaza, e alcune possibili prospettive concernenti la sicurezza e la pace nel futuro.

Venendo nello specifico alla presentazione del prossimo referente, si tratta dell’ambasciatore Patrick Gaspard, attuale presidente e CEO – Chief Executive Officer del Centro per il Progresso Americano. Ha recentemente rivestito il ruolo di Presidente della “Open Society Foundation” – “Fondazione per la Società Aperta” e vanta una prestigiosa carriera di ruoli rivestiti in autorevoli servizi pubblici. Tra di essi vi è stato l’incarico di ambasciatore degli Stati Uniti nella Repubblica Sud-africana.

Quanto a Nadav Weimen, questi è Direttore Esecutivo dell’Organizzazione “Breaking the Silence” e del “Gruppo Anti-Occupazione”, coordinato da veterani dell’esercito israeliano che hanno contribuito molto a gettare nuova luce sulle vicende del conflitto Israelo-Palestinese. Weimen ha prestato servizio sia in Cis-Giordania sia nella striscia di Gaza dal 2005 al 2008. Non più tardi di qualche settimana fa, Patrick ha visitato la Palestina e si è incontrato con Nadav. Siamo quindi davvero in trepidante attesa dei racconti che entrambi gli interlocutori condivideranno con noi, due interventi contraddistinti da un tempismo perfetto in riferimento agli eventi in corso. Passo quindi la parola all’ambasciatore Gaspard. Grazie.”