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A che serve una legge elettorale? Alla convenienza dei partiti. E poiché sono diversi quelli che devono decidere sulla revisione dell'attuale sistema, si tratta di trovare un compromesso in grado di accontentare tutti. Questo principio guida ha portato in un vicolo cieco la revisione del sistema elettorale. Una visione miope che perché se è vero che la modalità di scelta dei rappresentanti si pone a fondamento della vita delle formazioni politiche (e dunque ne va la loro «sopravvivenza», non solo «convenienza»), è ancor più vero che è la qualità della rappresentanza che viene a determinarsi in base al sistema elettorale. Dunque prima degli interessi dei partiti viene in gioco il valore della democrazia.

Speravamo di esserci liberati dei «comunisti» di Berlusconi, quei nemici inesistenti (sfortunatamente) che il Cavaliere si era inventato come un Don Chisciotte all'incontrario per non affrontare le critiche (vere) degli oppositori. E invece è di nuovo allarme, allarme rosso compagni, ci sono i «fascisti».

Immaginiamo che al tempo della disputa tra geocentrici ed eliocentrici esistesse già un sistema dell'informazione simile all'attuale (televisioni, quotidiani e rotocalchi). E supponiamo che dalla vittoria degli uni o degli altri dipendessero le condizioni di vita della gente che da quelle televisioni e da quei giornali veniva informata. Come giudicheremmo, in questa ipotesi, una informazione che avesse sistematicamente nascosto la disputa e, per esempio, rappresentato la realtà sempre e soltanto sulla base della teoria geocentrica?

Le scelte fondamentali di politica economica adottate per fronteggiare la crisi sono nascoste all’opinione pubblica, attraverso un «furto di informazione»… A dirlo, in una lettera-appello, è un gruppo di economisti, giuristi, intellettuali e docenti di diversa estrazione politico-culturale: Alberto Burgio, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Guido Rossi e Valentino Parlato.

Furto al quale partecipano «le più alte cariche dello Stato» e che costituisce «un attacco di inaudita gravità alla democrazia».

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