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A Roma, la notte fra sabato e domenica, in una sala privata presa in affitto grazie a una colletta, un gruppo numeroso di migranti da un paese subsahariano tiene una veglia per commemorare la morte, in patria, del congiunto di uno di loro. Si ricorda il defunto, si cena, si fa musica. Il rito serve a onorare il morto nell'unico modo possibile: tornare in patria sarebbe costoso, per alcuni anche pericoloso, interdetto in assoluto per chi non ha il permesso di soggiorno in regola. Il rito è anche occasione d'incontro, convivialità, amicizia. La sala sta nell'estrema periferia romana, isolata da ogni agglomerato di case.

Ero in Val Susa, domenica scorsa, con mio figlio sedicenne e suo padre, attivista ambientalista da tutta la vita. Ho dormito la sera prima nella casa di una famiglia della zona, così da essere già nei pressi all'indomani e non fare una levataccia; ho cenato con una coppia di abitanti valsusini doc, persone cordiali, spiritose, civili e bene informate sullo scempio che da qui a un ventennio, se andranno avanti i lavori, sconvolgerà la vallata con un'opera che, fatte le debite proporzioni, è più pericolosa, dispendiosa e inutile delle Piramidi dell'antico Egitto, che almeno sono lì a dirci dell'arroganza prometeica del potere ma non sono state una iattura così feroce per la natura circostante.

Il tema della libertà in Rete attraversa il mondo, mobilita ovunque il popolo di Internet e oggi troverà una sua particolare manifestazione a Roma con una "notte bianca" per protestare contro un provvedimento dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni in materia di diritto d'autore.

Provvedimento che potrebbe essere approvato domani. Il punto chiave della delibera riguarda il potere che l'Agicom assumerebbe di oscurare, anche in via cautelare, con un semplice procedimento amministrativo e senza le necessarie garanzie, l'accesso a siti e servizi web per presunte violazioni del diritto d'autore.

Tutto è cominciato poco più di un anno fa, quando la raccolta delle sottoscrizioni per i referendum sull'acqua come bene comune s'impennò fino a raggiungere il picco di un milione e quattrocentomila firme, record nella storia referendaria. Pochi si accorsero di quel che stava accadendo. Molti liquidarono quel fatto come una bizzarria di qualche professore e di uno di quei gruppi di "agitatori" che periodicamente compaiono sulla scena pubblica. O lo considerarono come un inciampo, un fastidio di cui bisognava liberarsi. Basta dare un'occhiata ai giornali di quei mesi.