• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ceccanti Stefano, autore dell'articolo, già presidente della Federazione universitari cattolici (Fuci), è docente di diritto costituzionale all’Università di Bologna.

Poco prima delle elezioni regionali, il centrodestra ha approvato in prima lettura la riforma che stravolge una buona parte della Costituzione. Gravissimi gli effetti.
La contrarietà alla riforma costituzionale deve essere ferma, senza mai scivolare nella propaganda: la materia è così importante che esige serietà. Per questo è doveroso dire che non sappiamo con certezza se e quanto l’approvazione da parte del Senato in campagna elettorale della riforma costituzionale sotto il diktat della Lega abbia davvero influenzato il voto regionale. È lecito nutrire qualche dubbio su questa analisi: se avesse inciso il timore per la devolution avremmo avuto cambiamenti marcati solo a Sud, ma qui invece è in tutto il paese che si è verificato un ingente spostamento, compresi la Lombardia e il Veneto, dove pure non è stato sufficiente per la vittoria elettorale del centrosinistra. Credo però che non si possa escludere che abbia giocato non tanto una preoccupazione per qualche specifico contenuto (la devolution, il premierato), quanto piuttosto la sensazione di una maggioranza arrogante, non disposta ad ascoltare su un tema che richiede consensi larghi. Il paese domanda competizione chiara su programmi alternativi, ma richiede forse anche limitate forme di consenso, almeno sulle regole della competizione stessa. Per questo è importante sottolineare una diversità di metodo ancor prima di quella di contenuto: quella riforma va bocciata in primo luogo perché riscrive per intero un impianto complessivo in modo unilaterale.