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Tratto da “Nonviolenza. femminile plurale”, supplemento settimanale del giovedì de "La nonviolenza è in cammino", n. 97 del 12 aprile 2007


Dal sito 50e50 riprendiamo l'intervento di Laura Piretti al seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide", svoltosi a Roma il 22 febbraio 2007.

Sento la necessità, giunte a questo punto del dibattito che stiamo portando avanti, di ricollegarmi ad alcuni interventi che mi hanno preceduto.
Mi ha fatto ovviamente grande piacere sentire la disponibilità espressa da "Usciamo dal silenzio", per mobilitarsi con noi e con quante raccoglieranno questa sfida. È importante "fare numero", non essere da sole.
Mi ha colpito anche la sincerità con la quale sono emersi dubbi, distinguo, richiami non solo alla difficoltà dell'impresa in sè, ma anche alle nostre diversità e a qualche dubbio che il concetto di democrazia paritaria, di rappresentanza numerica, quantitativa più e prima che qualitativa, può portare fra noi, e fra noi e le nostre storie in questi anni.
Mi è parso di cogliere in un intervento che mi ha preceduta, l'osservazione, giusta e condivisibile, di quanto il tema del "50 e 50" sia un forte allargamento rispetto ai temi sui quali, come ci siamo dette nella poderosa manifestazione di Milano in difesa della 194, sappiamo resistere e attestarci; così come nell'intervento di Lidia Campagnano è stata rilevata tutta la complessità del compito che ci siamo prefissate e dell'ampiezza di un tema quale il "50 e 50". Vorrei ragionare su questa ampiezza e ritengo anzi sia proprio ciò da cui partire.

Ricordo, per aver partecipato all'ultima assemblea preparatoria, a Milano, della grande manifestazione in difesa della 194, che vi erano ragazze che volevano, già nel testo del volantino "promotore", che si stava preparando, parlare di rappresentanza, di quote, di precarietà del lavoro.
Non furono accontentate, perché la concisione necessaria per un volantino non consentiva l'accoglimento di tante istanze, ma al momento della manifestazione, dai vari volantini distribuiti, dalle scritte sui cartelli venivano fuori esattamente tutti questi temi. E fu proprio osservando cartelli e striscioni, portati soprattutto da donne giovani e ragazze, che a noi dell'Udi venne in mente lo slogan dell'8 marzo 2006 "la precarietà rende sterili", dove si coniugava il tema della "piazza" (corpo della donna, legge 194, fecondazione medicalmente assistita ed altro) con quello delle scelte o non scelte obbligate dalla precarietà di vita e di lavoro.
A proposito della violenza contro le donne, tema sul quale abbiamo tanto lavorato in questo ultimo anno e stiamo ancora lavorando, come influisce questo impegno che ora ci prendiamo sul "50 e 50"? A me sembra tutti i temi siano fortemente collegati e che la questione della rappresentanza delle donne ovunque si decide, sia il tema di fondo, per eccellenza.
Quante volte, ragionando sulla violenza contro le donne, ci siamo dette che una società dove le donne sono più rappresentate, ha comunque più strumenti per isolare i violenti. Così come, a proposito dell'"abominevole legge 40", quella sulla fecondazione medicalmente assistita, tutti sanno che un parlamento composto da più donne, avrebbe votato una legge comunque migliore di quella che è passata. Non perché tutte le donne votino meglio o votino a favore delle donne, ma proprio per una questione di numeri che diventano una forza misurabile; dunque ragionando sui numeri del nostro parlamento possiamo ritenere che la legge approvata è proprio la peggiore possibile.
Voglio dire che il tema del "50 e 50" è proprio di fondo o di sfondo rispetto a tutte le nostre battaglie, le quali non debbano dunque scomparire, ma ricevere da questo impegno ancora più forza. E la forza delle nostre iniziative politiche, compresa questa che ci accingiamo a fare, è proprio nel tenere insieme i nostri temi. Il tema del "50 e 50" non si aggiunge semplicemente agli altri temi, vi sta dentro e nello stesso tempo li comprende e determina con essi il nostro stare sulla scena delle politica.
*
Non è una battaglia staccata dalle altre e noi non siamo isolate nel proporla.
Non faremo questa raccolta di firme da sole, stiamo cercando alleanze, sinergie, perché il compito che abbiamo di fronte è davvero arduo e ciò che stiamo facendo è dirompente.
Non credo nemmeno che il contenuto della nostra battaglia sia di facile comprensione. Non credo che sia facile spiegarne le ragioni, quando dovremo farlo a tutti, donne e uomini a cui chiederemo le firme. Le battaglie sulla 194, sul divorzio sono state difficili, ma il contenuto era più immediato.
Qui, subito dopo l'immediatezza dello slogan che parla davvero chiaro, dovremo spiegare perché l'uguaglianza non basta, perché ci vogliono le pari opportunità, perché poniamo una questione di quantità e non di qualità, perché la parola democrazia non basta più da sola e dobbiamo aggiungere "duale", "paritaria" ecc. Non sono concetti facili.
Ricordiamoci che ci proponiamo nientemeno che cambiare le regole del gioco, o meglio ridare regole a un gioco dove qualcuno barava. Questo, che dovrebbe essere molto normale, nello scenario che abbiamo di fronte diventa provocatorio, incendiario. Su questa complessità noi andiamo a promuovere una legge di iniziativa popolare, a chiedere firme per le strade, a coinvolgere e a farci coinvolgere in modo così diretto.
Sento la difficoltà, ma vivo fino in fondo anche l'entusiasmo per questa nostra iniziativa.

Da "Azione nonviolenta", aprile 2007 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org), col titolo "L'attivista in abito da sposa per combattere la violenza domestica" pubblicato su “Voci e Volti della nonviolenza”, n. 70 del 27 giugno 2007.

Josie Ashton, trentaquattrenne, è convinta che la comunità latina di New York abbia bisogno di una "sveglia" rispetto alla violenza, soprattutto alla violenza domestica. Lei è divenuta la sfida costante alla compiacenza che circonda gli abusi tra le pareti di casa e non. L'evento che la mise per così dire in moto fu un omicidio che gettò nella costernazione i dominicani residenti in città: Gladys Ricart fu uccisa mentre si trovava nel proprio soggiorno, circondata da parenti felici, e splendente nel suo abito bianco da sposa. Il futuro marito la stava attendendo in chiesa. Il suo assassino era un facoltoso uomo d'affari con cui Gladys aveva avuto precedentemente una relazione.
Il fatto ebbe ampia risonanza e Josie stessa, che all'epoca già lavorava come avvocata d'ufficio a Miami per le vittime di violenza domestica, ne discuteva con amici e conoscenti: fu così che scoprì parecchie cose assai disturbanti, per lei. Per esempio, che parecchi biasimavano la vittima.
"Dicevano che in qualche modo aveva contribuito a quanto le era accaduto.

L'ultima parola è la nostra. dall'evidenza scientifica all'etica della responsabilità [Dal sito della Libera università delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente appello]

Contrastiamo l'abitudine a pensare che sui temi essenziali che riguardano la nostra vita, le nostre esperienze che si fanno corpo e anima, noi donne e uomini comuni fatichiamo a prendere una decisione consapevole.

Tratto dalla Newsletter "Ecumenici" del 22 novembre 2008

Al giornale Rai 3 di stamattina 22 novembre 2008, ore 6,45, si è detto che le femministe e lesbiche cercheranno oggi di ripetere il successo dell’altr’anno. Grazie della menzione?
Chiariamoci, a noi donne non ci paga nessuno, non siamo in tournee, non siamo attrici di nessuna telenovela o animali da circo da contenere in una gabbia:  saranno più quelle che rimarranno a casa per molte giustificate ragioni che quelle che potranno essere  in piazza.

Pubblicato su "Notizie minime della nonviolenza", n. 649 del 24 novembre 2008

A volte la tentazione è forte. Gioire un pò, celebrare qualche successo, battere le mani alle 50.000 donne in corteo a Roma, lasciar andare per un momento la tensione e il dolore. Ma fortunatamente il mondo è pieno di personaggi benintenzionati, decisi a non permettermi di mollare il punto neppure per un attimo. Li ringrazio in anticipo, collettivamente: le teste di pietra che non considerano esistente nessuna opinione tranne la propria; i ninja pronti a menar le mani ogni volta che si è in disaccordo con i loro piani o si osa interferire con i loro desiderata; le ostriche che si seppelliscono nella sabbia e rifiutano di affrontare la realtà o di ammettere che ci sia un qualsiasi problema; gli accademici elefanti che semplicemente bloccano qualsiasi strada con la loro mole messa di traverso (fatta di lunghi, complicati, saggissimi discorsi); i "fichi" e le pavoncelle di così notevole statura e beltà da non poter guardare gli altri se non dall'alto in basso; i finti miserabili colpiti dal destino cinico e baro ed in costante bisogno di attenzione, simpatia, maternage, compassione; i camaleonti pronti a cambiar colore a seconda del posto in cui stanno, e a dire una cosa a me e il contrario a voi nello spazio di tre minuti.

Come abbiamo già fatto notare nel corso di questi tre anni,  riteniamo che i consultori rappresentino un punto fermo di un modello socio-sanitario di cui condividiamo pienamente la filosofia, ma misurandoci con la loro concreta organizzazione sul nostro territorio abbiamo  messo a fuoco alcune criticità che vogliamo sottoporle.