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Il nostro Governo ha deciso di procedere ad un intervento di natura militare in Libia denominato "Ippocrate".

Il medico e scienziato Ippocrate direbbe che per superare le sofferenze bisognerebbe andare alle cause e riterrebbe sbagliato il ricorso allo strumento militare per risolvere una situazione degenerata proprio a seguito di devastanti spedizioni  militari. Più volte è capitato all'Italia di vendere con una mano armi e di offrire con l'altra aiuti sanitari in un gioco orribile e contraddittorio di interventi contrapposti (un esempio: la vendita di mine antiuomo nel Corno d'Africa e l'invio di medici per curare i colpiti dalle mine).

La Rete Italiana per il Disarmo e la Rete della Pace esprimono  forte preoccupazione sulla decisione da parte del Governo Italiano di procedere ad un intervento di natura militare in Libia, e ribadiscono la propria contrarietà a qualsiasi tipo di intervento armato.
La soluzione per la grave situazione conflittuale in corso da anni in Libia potrà derivare solo da una visione politica ampia che metta al primo posto la ricostruzione di un tessuto democratico a partire dal rafforzamento della società civile, cosa impossibile da effettuarsi con le armi.
A maggior ragione nel momento in cui all'imminente sconfitta di Daesh in Libia rischia di riaccendersi una guerra civile tra Tripoli e Tobruk come già evidente negli ultimi recentissimi sviluppi relativi alla avanzata delle milizie del generale Heftar, nella  cosiddetta Mezzaluna petrolifera.

Le immagini che abbiamo visto, in tutti i media, dei corpi dei poliziotti turchi, costretti a stare seduti in terra, ammucchiati e denudati, rimandano a quelle dei racconti delle ragazze e ragazzi protagonisti, quindici anni fa, della “macelleria messicana” (così venne definita allora) del G8 di Genova. Foto sovrapponibili per un comune denominatore: l’umiliazione della dignità umana e la soppressione dei diritti civili, politici e sociali.

In Gran Bretagna è stato pubblicato il rapporto Chilcot, frutto di una inchiesta durata sette anni sull’intervento armato in Iraq. Il rapporto sancisce a livello ufficiale quello che i movimenti per la pace e papa Giovanni Paolo II nel 2003 avevano ampiamente spiegato: non vi erano prove dell’esistenza di armi di distruzione di massa in mano a Saddam; la via militare fu scelta senza esaurire le altre opzioni; è stato rilanciato il terrorismo "islamista". Qualcosa di simile è avvenuto in Libia. Quelle guerre sono state più gravide di conseguenze devastanti della crisi finanziaria.

Dobbiamo con profondo rammarico denunciare che la capacità mimetica della guerra e la giustificazione della violenza si accrescono in modo inatteso nella generale indifferenza con un uso e un abuso della parola pace. Ne è stata dolorosa prova l’attribuzione il 13 aprile 2016 del premio Napoli Città di Pace all’attuale ministra della Difesa Roberta Pinotti da parte dell’Unione Cattolica Stampa Italiana.

Stiamo vivendo giorni di bombardamenti e devastazioni atroci su molte città.

Tragedie che ci richiamano alla Costituzione del Concilio Vaticano II ‘Gaudium et spes’ e alla sua condanna della guerra totale, l'unica condanna in un Concilio ‘pastorale’.

Essa così afferma al n. 80: "Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato".

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