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Quando nel 2003, durante la seconda guerra del Golfo, l'americana diciannovenne Jessica Lynch cade prigioniera degli iracheni, per liberarla si organizza uno spettacolare irruzione notturna con telecamere al seguito e gran battage mediatico. Per giorni e giorni, su tutte le tv passano le sequenze dell'azione e le centinaia di nastri gialli, simbolo dei "missing in action", appesi agli alberi di sicomoro, agli steccati, ai semafori di Palestine, il paese di Jessica.

Dopo un mese, durante il mio primo viaggio nel Congo orientale (teatro del conflitto più mortale dopo la seconda guerra mondiale), avevo ormai sentito un mucchio di storie orribili: dal cannibalismo forzato ad interi villaggi in cui gli abitanti sono stati bruciati vivi. Non era più facile scioccarmi. Ma uno scambio di battute con una lavoratrice del campo umanitario mi ha freddata.

Nel 1999 Hajieh Esmailvand, una donna azera che viveva nell'Azerbaijan iraniano, fu stuprata; sei mesi più tardi, fu arrestata dalle autorità iraniane per aver partecipato a "relazioni sessuali illecite". Il processo a suo carico fu condotto in persiano, lingua che lei non parlava nè capiva. Costretta a confessare di aver commesso "adulterio", Hajieh ricevette la condanna a morte per lapidazione. Quando la comunità internazionale per i diritti umani ne ebbe notizia, l'Iran asserì che tali castighi non solo non violavano gli standard internazionali sui diritti umani, ma erano giustificati come l'eredità islamica "autentica" del popolo iraniano.

Non sottovaluto mai, né svaluto, l'iniziativa presa da una donna, o da tante, su contenuti che condivido: la difesa della democrazia, la visibilità delle donne e delle loro vite tutte, la lotta contro immagini mistificatorie che sostengono, anche dentro le moderne democrazie, la politica patriarcale in qualsiasi forma, che sia quella eclatante della riduzione dei corpi femminili a pezzi di carne in vendita, che sia quella strisciante del perbenismo borghese, che riduce anche le donne più intelligenti ad essere poco più che vestali dei valori costituzionali o all'indispensabile casalingato che, dalla casa alle aziende, dalle associazioni alle istituzioni, tiene in piedi la società a tutti i livelli.

In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani.