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Il 16 novembre 1922, Benito Mussolini, che aveva costruito il Partito nazionale fascista su sua misura, dopo aver tanto gridato sulle piazze, stracciò in Parlamento i princìpi, i valori e gli ideali dei rappresentanti degli altri partiti con una sola frase: «Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli di camicie nere.». Fu una ingiuria plateale, dopo la quale i parlamentari avrebbero dovuto insorgere e cacciarlo. Non accadde nulla. Solo un socialista riformista, Modigliani (fratello del pittore) gridò: «Viva il Parlamento», ma gli altri lo zittirono, impauriti da tanta audacia. Tre anni dopo, aggredito e ferito, dovette espatriare.

L'Italia non fascista avrebbe dovuto scendere nelle strade a difesa della propria dignità e della propria libertà, guidata dai leader di quei partiti che erano stati così svillaneggiati e offesi: e con essi era stato insultato e offeso il Paese. Da tempo tutti sapevano quel che avevano in mente i fascisti: il potere. Mussolini voleva tutto, senza intese di alcun genere, anche se aveva finto di trattarle. Il re Vittorio Emanuele III, garante della Costituzione di quei tempi, non mosse un dito.


I partiti di centro cominciarono a spostarsi e ad affollare i banchi dell'estrema destra, come fece notare l'ex ministro della destra liberale Antonio Salandra. La Chiesa non prese nessuna chiara posizione, i cattolici si divisero, i più coraggiosi si ritirarono poi sull'Aventino. Ci fu lo sdegno, ma invece di chiamare i carabinieri e far mettere in prigione il pazzo che dichiarava di distruggere lo Stato e la sua ancora debole democrazia parlamentare, la maggior parte dei politici cercò, in vario modo, le strade della sopravvivenza. Chi resistette finì al confino, in galera o riparò all'estero.


Chi aveva stracciato le regole del gioco democratico, tappò con i soldi e con le leggi la voce della stampa e i giornalisti, comprati e venduti, vissero per vent'anni sulle «veline» del governo fascista. La magistratura si adeguò. Il socialista Giacomo Matteotti che, nel 1924, prese la parola contro il fascismo, venne ucciso. Quindici anni dopo furono promulgate le leggi razziali e l'Italia si trovò in guerra accanto alla Germania nazista.


Chi contrastò questa guerra, dopo l'8 settembre 1943, fu chiamato variamente: patriota o partigiano dagli antifascisti, bandito dai fascisti della Repubblica sociale italiana: quando veniva catturato, era torturato, impiccato o fucilato. A guerra conclusa, con la fine di Mussolini e della repubblica di Salò, il 25 aprile 1945 fu dichiarato festa della Liberazione. Dopo due decenni, alcuni conflitti e una guerra fratricida, l'Italia si era liberata del fascismo, del mussolinismo e così via. Tornò la democrazia. I giornali ripresero le loro libere voci. Molti, cattolici e non, in mezzo a mille difficoltà si adoperarono giustamente per sanare le ferite e riappacificare gli animi.


In pochi anni il Paese permise ai reduci della Rsi di riunirsi in un Movimento sociale italiano, Msi, poi divenuto partito. Successivamente il Msi è diventato Alleanza nazionale, An, e infine è entrato nel Popolo della libertà guidato da uno degli uomini più ricchi del mondo, attraverso amici e familiari controllore del maggior numero di mass media esistenti in Italia, il quale - ha detto - intende modificare la Costituzione della repubblica per governare nei prossimi decenni.


Cosa chiedono oggi gli eredi dei reduci della repubblica sociale (e, anzi, alcuni vecchi reduci davvero)? Nella convinzione di vincerle e tornare al potere sconfiggendo gli avversari, attraverso il loro leader hanno chiesto che il 14 aprile 2008, giorno delle elezioni del prossimo Parlamento, sia considerato festa della Liberazione. Così cambia la storia.


Buratti Gino, Marchi Pierpaolo, Pancera Mario, Ricci Debora

Rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo, la nonviolenza: documento conclusivo dell'assemblea di Bologna del 19 aprile 2008


[Da Michele Boato (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) riceviamo e diffondiamo il documento finale dell'assemblea di Bologna del 19 aprile 2008]


Pubblicato su “Il Manifesto” del 15 maggio 2008



Quando mi cade una tegola intesta, l'improbabilità dell'evento non mi consola. Me ne sbatto che la vita media sia di 80 anni se mi viene un tumore a 50: tra la constatazione oggettiva e il vissuto soggettivo si spalanca tutto il baratro aperto dall'irripetibilità della nostra effimera esistenza. Così, non rassicurano la mia insicurezza le statistiche che dimostrano che in Italia il numero degli omicidi cala costantemente e che Roma è una delle capitali più sicure d'Europa.

Per risolvere il problema dell'immondizia, a quanto riportano autorevoli opinionisti, il governo Berlusconi ha trasformato la capitale della Campania, Napoli, in una prefettura, cioè l'ha abbassata di rango. Nello stesso tempo ha tolto alcuni diritti costituzionali ai napoletani obbligandoli allo stoccaggio di rifiuti nocivi e non nocivi nelle stesse discariche, pur di fare presto. Nel resto d'Italia e in Europa questa raccolta è illegale perché, mancando i controlli sull'idoneità delle discariche a ricevere veleni, si prefigura alla lunga un danno per la salute dei cittadini.

Tutto ciò è detto alla tv e scritto sui giornali. Ma, pure nello stesso tempo, la magistratura napoletana scopre e denuncia intrallazzi e maneggi proprio tra alcune persone che oggi si devono occupare legalmente della questione. Ci sono anche arresti. Neppure lo scrittore Roberto Saviano, nel suo «Gomorra», lo aveva previsto. Nel suo libro, ed ora anche in un film, fuori della legge si muove soltanto la camorra. Passano i giorni e ci si dimentica di questa reale insicurezza della cosiddetta sicurezza.

C'è da aver paura dell'illegalità o no? Un editorialista molto autorevole su un molto autorevole giornale denuncia l'azione del governo, ma non fa mai, in tutto il suo scritto in prima pagina, mai il nome del presidente del consiglio. Sembra di essere in guerra: «Taci, il nemico ti ascolta». Un tempo si scriveva il governo De Gasperi, il governo Andreotti, il governo Craxi, in certi casi oggi il governo sembra orfano.

Un altro autorevole opinionista lo aveva preceduto con un articolo pieno di dubbi, ma in sostanza favorevole all'azione autoritaria del governo e contrario a quella dei magistrati, che si permettono di far rispettare le leggi (almeno questo è il loro compito) proprio in questo periodo, concludendo un'azione iniziata parecchi mesi prima. Mi accorgo che anch'io non faccio nomi. I magistrati dicono che alcune norme sono anticostituzionali e protestano sostenendo che così si vanifica la lotta alla camorra. A sua volta protesta il commissario straordinario: afferma che l'azione dei magistrati danneggia il suo lavoro di pulizia.

Nel giro di quarantotto ore, il capo della polizia attacca (è il verbo usato da tv e altri mass media) l'attuale situazione giudiziaria per cui sembra che in Italia, mentre le forze dell'ordine arrestano decine e decine di clandestini colpevoli di crimini, si sviluppi una sorta di «indulto quotidiano», visto che delinquenti d'ogni genere entrano in carcere, escono, rientrano e di nuovo escono a commettere altri delitti (spaccio, furti, rapine, stupri, e così via). Insomma, non è garantita la sicurezza, perché in Italia manca la certezza della pena.

Assistiamo da lettori a una guerra di tutti contro tutti? Capisco che papa Benedetto XVI si rallegri quando vede che i politici cercano di andare d'accordo, ma l'opinione pubblica italiana viene stravolta da queste bufere che, forse, in Vaticano non si vedono. Si guardi bene il palcoscenico: governo, Costituzione, magistratura, polizia, per avere un quadro della situazione. Chi schiaccia chi? Manca il sindacato: è malato dietro le quinte. Anche la libertà di stampa è febbricitante.

Da che parte stare? Dalla parte della legalità o dalla parte della sicurezza? O dalla parte del silenzio? È un problema di libertà cioè di sostanza, non di facciata. Questi scontri sulla uguaglianza dei cittadini e sulla loro libertà di movimento e di parola investono non soltanto la sicurezza materiale, ma anche e soprattutto la sicurezza morale dei cristiani. I cattolici hanno diritto di avere un'indicazione forte e precisa dal loro papa. Visto che riguarda la libertà, più che una semplice indicazione sarebbe meglio un sostegno.
Mario Pancera

A completamento della pubblicazione della lettera aperta del "Comitato Usciamo dal Silanzio" di Massa Carrara al Sindaco Pucci relativa ad un articolo comparso sulla rivista "Left-Avvenimenti", pubblichiamo la replica del Sindaco inviata alla rivista.

Alla giornalista Sofia Basso
redazione Left-Avvenimenti
e p.c. al Direttore Pino Di Maula

Gentile Sofia Basso ,
ho letto su Left del 9 maggio scorso l'articolo che mi riguarda. In base all'art. 8 della Legge sulla stampa 47/1948 intendo replicare come segue:

Parliamo delle intercettazioni ordinate dalla magistratura per provare fatti criminali e rese pubbliche dai mass media. Per l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali "ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere  interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità".

In Italia, oggi, che cosa accade? Che si vogliono leggi per negare questo diritto. Si terrorizzano i mass media perché tacciano la verità. I segni indicatori sono molti. La tentazione di mettere il bavaglio alla stampa ha radici profonde ed è tipica dei regimi dispotici, fascisti e comunisti, tutti ferocemente antilibertari e anticristiani.  Non c'è nessuna "dittatura dolce": l'espressione è aberrante, fuorviante e stupida; tutte le dittature sono atroci, da Stalin a Pinochet, poiché si basano sul totale dominio di alcuni su tutta la nazione.


Alti esponenti politici hanno usato, contro le proteste popolari (cioè contro i cittadini che esprimono apertamente il pensiero in ambito comunale a proposito di immondizia, alta velocità, privatizzazione dell'acqua, lavoro precario, aeroporti inutili ), termini come "ribellismo" e "localismo". Non scherziamo: queste sono due espressioni usate in passato nei partiti comunisti e fascisti per mettere a tacere gli avversari. Usarle oggi significa essere fuori tempo, ma significa anche avvertire gli italiani: "Attenti, non siamo cambiati".

La minaccia addirittura di incarcerare i giornalisti che, dando notizie non solo sulla criminalità spicciola e sui festival canori, ma anche sui malaffari della politica, sui maneggi e i latrocini dei politicanti e dei loro sostenitori a danno del Paese, informano gli italiani su quanto avviene alle loro spalle, è una minaccia mortale alla libertà di stampa. E, se si imbavaglia la stampa, non è finita la libertà dei giornalisti, è finita la libertà di tutti. Su autorevoli siti giornalistici si fa esplicito riferimento all'Italia 1930. Le organizzazioni dei giornalisti protestano, ma non basta. Cattolici impegnati, uomini di chiesa, se ci siete, fatevi sentire.

Mario Pancera

Articolo di Anna Maffei pubblicato su "La Repubblica" del 29 settembre 2008
Leggere la prosa asciutta, fatta anche di nomi e cognomi, date e circostanze, responsabilità elencate e attribuite con precisione, percepire l'indignazione, la sacra indignazione di questo giovane uomo, figlio, come me, della stuprata terra di Campania, riascoltare resoconti di fatti di sangue troppo in fretta archiviati è stata un'esperienza dolorosa.