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Nei primi giorni della guerra in Libia, in molti si sono interrogati sulla posizione dei credenti italiani circa l’intervento militare e sul silenzio dei “pacifisti cattolici”. Un’interessante risposta l’ha fornita Luca Diotallevi, sociologo ed eminente collaboratore della Cei, in un articolo apparso su Il Riformista del 29 marzo.

Di fronte all'angoscia che provo per la situazione che stiamo vivendo, un piccolo conforto mi deriva dai discorsi che  mettono in luce la necessità di scambiare idee, informazioni, confrontarsi, prima di trinciare giudizi dettati da appartenenze politiche e/o ideologiche.

L'intervento militare in Libia ha suscitato in Francia un coro di consensi, provenienti sia dai partiti rappresentati in Parlamento, come già per la guerra in Afghanistan, sia dai commentatori.

Sentiamo dire che la Francia ha messo a segno un colpo da maestro. Il capo nemico è designato solo in termini superlativi: è diventato il demente, il pazzo, l' aguzzino, il tiranno sanguinario, o addirittura descritto, con riferimento alle sue origini, come "astuto beduino".

Io non sono un pacifista per principio, in maniera aprioristica, per un discorso di non violenza, lo sono invero per calcolo sulla guerra, un conteggio concreto e preciso che mi fece mio padre, mio personale e privato padre della patria, l’unico che rispetto davvero.
Come tanti della sua generazione mio padre era di poche parole, ed era una fatica immensa strappargli racconti soprattutto della guerra; a spezzoni attraverso qualche aneddoto, la sua esperienza l’ho ricostruita io.