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La morte è l'ineluttabile fine terrena di ogni essere umano. Ma se la morte sopravviene per mano di un altro essere umano, e se questa morte avviene perché qualcuno ha scatenato una guerra, e se di queste morti ce ne sono milioni, allora tutto questo è inaccettabile e occorre ribellarsi e indignarsi.

- Federico Oliveri: Il 2011 è iniziato nel segno delle rivolte nel mondo arabo, seguite ora con entusiasmo ora con allarme da un' Europa destabilizzata dalla crisi e attraversata da mobilitazioni contro le politiche di austerità. In Tunisia e in Egitto le proteste sono riuscite in tempi abbastanza rapidi a sostituire i governi autoritari e corrotti in carica da decenni, avviando una faticosa stagione di riforme in nome di maggiore libertà e democrazia. In altri paesi, come la Siria, lo Yemen e il Bahrein, le rivolte popolari non hanno ancora trovato sbocco politico, anzi sono oggetto di repressione da parte dei governi in carica. In Libia la situazione è precipitata in un conflitto armato aperto tra fazioni pro e contro Gheddafi, queste ultime protette militarmente dalle potenze occidentali.

2001-2011. Dopo tante guerre e imprese armate il mondo non è più sicuro nè meno spaventato. Si può continuare così? Quando comincerà una politica di pace?Dopo l'11 settembre 2001, le azioni militari in nome dell'"antiterrorismo" hanno provocato circa 250.000 vittime in Iraq e Afghanistan e quasi 7 milioni di profughi. In dieci anni gli Stati Uniti hanno speso tremila miliardi di dollari e perso settemila uomini.

Essere contro la guerra è sempre più difficile ed essere per la pace lo è ancora di più. È lontanissimo il 2003, con la moltitudine delle bandiere arcobaleno appese alle finestre contro la guerra in Iraq.
Intanto, dopo lo tusnami e il disastro atomico atomico giapponese, è esplosa in maniera improvvisa e dirompente la guerra di Libia, appendice insanguinata della breve stagione dei gelsomini che ci ha entusiasmato con le manifestazioni di Tunisi e dell'Egitto.