Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate
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COMUNICATO STAMPA
"Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate .Un progetto per il recupero ciclo-pedonale della Ferrovia Marmifera di Carrara"
Nell'ambito della Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate , prevista per la prossima domenica 2 marzo , Fiab - Ruota Libera Apuo-Lunense ha organizzato due manifestazioni per ricordare la Ferrovia Marmifera di Carrara, arditissima opera di ingegneria che ha pochi eguali in Italia (da 0 a 500 metri s.l.m. in poco meno di 14 km). Le iniziative che i cicloambientalisti apuani hanno inteso organizzare in questa importante occasione sono articolate in due giornate.
Il potere di tutti è nonviolenza in azione (Daniele Lugli)
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Dagli amici del Movimento Nonviolento (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ) riceviamo e diffondiamo il seguente intervento di Daniele Lugli che appare anche nel sito www.nonviolenti.org Daniele Lugli (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ) è il segretario nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e politico anche una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed amministrativo, ed è persona di squisita gentilezza e saggezza grande
I timori della vigilia si sono dissolti al sole di Vicenza, nel fiume di persone, donne uomini, bimbi, giovani, adulti, anziani che l'hanno stretta in un festoso abbraccio per ore. La partecipazione, larga e consapevole, è un messaggio preciso a chi, con responsabilità istituzionali, ha cercato, con i suoi messaggi, di scoraggiare l'affluenza. Gli applausi tributati ai cittadini americani, che hanno manifestato già nel corteo la loro adesione all'iniziativa, hanno dato un segno ben diverso dal bruciare bandiere a stelle e strisce, come in altre occasioni avvenuto. Può essere un insegnamento importante anche per chi crede di farsi così antagonista/protagonista (e come tale viziato dai media).
Lascia molti e differenti impegni e la speranza che siano ben affrontati.
In primo luogo ciò vale per i cittadini di Vicenza. A loro spetta allargare e approfondire la consapevolezza che la loro è azione per un vivere civile e partecipato, in un ambiente migliore e più sicuro, e assieme indicazione che altre sono le basi - di confronto, convivenza, collaborazione piuttosto che militari - da costruire e ampliare, nei popoli e tra i popoli.
È una riflessione che si consegna ai rappresentanti eletti. Ad essi spetta il non facile compito di elaborare e tradurre in conseguente azione, di politica interna ed estera, una volontà di pace, che ha un punto sensibile nella questione delle basi militari a disposizione di guerre sempre più illimitate e incontrollate.
Costituisce un banco di prova per lo stesso movimento per la pace. A tutte le sue componenti dovrebbe essere ora più chiara la necessaria congruenza tra i fini e i mezzi impiegati, per diffonderli e approfondirli. La maturità dimostrata, anche in condizioni difficili e aperte alle provocazioni (triste e inquietante il ritorno della sigla Br alla vigilia della manifestazione), è punto di partenza.
Il Movimento Nonviolento, unito a tutti gli amici della nonviolenza (e ce ne erano veramente tanti nel corteo), non farà mancare il suo più persuaso contributo in tutte le sedi e le forme che saranno possibili. Sarebbe piaciuto ad Aldo Capitini quel corteo di popolo in cui si mescolavano grandi idee e concretissime rivendicazioni ("patate e ideali" avrebbe detto) e in cui si manifestava quel potere di tutti, senza il quale non si dà vera democrazia.
I timori della vigilia si sono dissolti al sole di Vicenza, nel fiume di persone, donne uomini, bimbi, giovani, adulti, anziani che l'hanno stretta in un festoso abbraccio per ore. La partecipazione, larga e consapevole, è un messaggio preciso a chi, con responsabilità istituzionali, ha cercato, con i suoi messaggi, di scoraggiare l'affluenza. Gli applausi tributati ai cittadini americani, che hanno manifestato già nel corteo la loro adesione all'iniziativa, hanno dato un segno ben diverso dal bruciare bandiere a stelle e strisce, come in altre occasioni avvenuto. Può essere un insegnamento importante anche per chi crede di farsi così antagonista/protagonista (e come tale viziato dai media).
Lascia molti e differenti impegni e la speranza che siano ben affrontati.
In primo luogo ciò vale per i cittadini di Vicenza. A loro spetta allargare e approfondire la consapevolezza che la loro è azione per un vivere civile e partecipato, in un ambiente migliore e più sicuro, e assieme indicazione che altre sono le basi - di confronto, convivenza, collaborazione piuttosto che militari - da costruire e ampliare, nei popoli e tra i popoli.
È una riflessione che si consegna ai rappresentanti eletti. Ad essi spetta il non facile compito di elaborare e tradurre in conseguente azione, di politica interna ed estera, una volontà di pace, che ha un punto sensibile nella questione delle basi militari a disposizione di guerre sempre più illimitate e incontrollate.
Costituisce un banco di prova per lo stesso movimento per la pace. A tutte le sue componenti dovrebbe essere ora più chiara la necessaria congruenza tra i fini e i mezzi impiegati, per diffonderli e approfondirli. La maturità dimostrata, anche in condizioni difficili e aperte alle provocazioni (triste e inquietante il ritorno della sigla Br alla vigilia della manifestazione), è punto di partenza.
Il Movimento Nonviolento, unito a tutti gli amici della nonviolenza (e ce ne erano veramente tanti nel corteo), non farà mancare il suo più persuaso contributo in tutte le sedi e le forme che saranno possibili. Sarebbe piaciuto ad Aldo Capitini quel corteo di popolo in cui si mescolavano grandi idee e concretissime rivendicazioni ("patate e ideali" avrebbe detto) e in cui si manifestava quel potere di tutti, senza il quale non si dà vera democrazia.
Cambiamenti nel paradigma della politica (Luisa Muraro)
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Riportato sul notiziario del Centro di Ricerca per la Pace, tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il testo della conferenza tenuta da Luisa Muraro presso l'Università di Girona il 19 dicembre 2006
Ci sono fatti che, come lampi nel buio, fanno una gran luce che dura poco e ci lasciano in un'oscurità peggiore di prima: la caduta del muro di Berlino nel 1989, la caduta delle Torri gemelle di New York, nel 2001. Ho accostato eventi fra loro molto diversi, ma per un aspetto molto simili. Tutto va molto in fretta, sempre più in fretta e le cose erette per durare non stanno su. Dopo la caduta del muro di Berlino, qualcuno disse che la storia era finita, per dire che gli Usa erano destinati ad esercitare una stabile egemonia mondiale, ma il governo che si è istallato alla Casa bianca ha fallito completamente questo traguardo.
All'instabilità evidente si accompagna il problema del senso della politica: che significato abbia in sè e per noi oggi. Se uno o una mi chiedesse: che cosa intendi per politica, la mia prima risposta sarebbe che questa è una domanda alla quale la cultura occidentale oggi non sa rispondere. In questo senso si dice che il paradigma della politica è in crisi. Il paradigma, detto in breve, è una specie di modello basico che dà una certa coerenza ad un insieme di pratiche e di conoscenze senza impedire, anzi favorendo il loro sviluppo. Si dice che cambia il paradigma quando sono messi in questione dei presupposti fino allora tacitamente condivisi, in vista di nuove prospettive. Ma ci sono, e quali sono? Nella situazione in cui ci troviamo, secondo me, si deve rinunciare a formulare teorie vere e proprie. Ma non a leggere la realtà che cambia. Si fa come chi racconta il suo viaggio man mano che viaggia. Si fa tenendo conto dell'esperienza personale e ascoltando quella degli altri, delle altre. Non c'è un punto di vista oggettivo, chi dice di averlo si sbaglia o imbroglia. Ma non siamo neanche condannati al soggettivismo, perché ciascuno e ciascuna di noi è parte della realtà che cambia e ne ha una qualche esperienza, e perché, con la parola, può comunicarla ad altre, altri. Sono finite le grandi narrazioni, si è detto, ma non sono finite le narrazioni, anzi, è cominciato il tempo delle molte narrazioni.
Ci sono fatti che, come lampi nel buio, fanno una gran luce che dura poco e ci lasciano in un'oscurità peggiore di prima: la caduta del muro di Berlino nel 1989, la caduta delle Torri gemelle di New York, nel 2001. Ho accostato eventi fra loro molto diversi, ma per un aspetto molto simili. Tutto va molto in fretta, sempre più in fretta e le cose erette per durare non stanno su. Dopo la caduta del muro di Berlino, qualcuno disse che la storia era finita, per dire che gli Usa erano destinati ad esercitare una stabile egemonia mondiale, ma il governo che si è istallato alla Casa bianca ha fallito completamente questo traguardo.
All'instabilità evidente si accompagna il problema del senso della politica: che significato abbia in sè e per noi oggi. Se uno o una mi chiedesse: che cosa intendi per politica, la mia prima risposta sarebbe che questa è una domanda alla quale la cultura occidentale oggi non sa rispondere. In questo senso si dice che il paradigma della politica è in crisi. Il paradigma, detto in breve, è una specie di modello basico che dà una certa coerenza ad un insieme di pratiche e di conoscenze senza impedire, anzi favorendo il loro sviluppo. Si dice che cambia il paradigma quando sono messi in questione dei presupposti fino allora tacitamente condivisi, in vista di nuove prospettive. Ma ci sono, e quali sono? Nella situazione in cui ci troviamo, secondo me, si deve rinunciare a formulare teorie vere e proprie. Ma non a leggere la realtà che cambia. Si fa come chi racconta il suo viaggio man mano che viaggia. Si fa tenendo conto dell'esperienza personale e ascoltando quella degli altri, delle altre. Non c'è un punto di vista oggettivo, chi dice di averlo si sbaglia o imbroglia. Ma non siamo neanche condannati al soggettivismo, perché ciascuno e ciascuna di noi è parte della realtà che cambia e ne ha una qualche esperienza, e perché, con la parola, può comunicarla ad altre, altri. Sono finite le grandi narrazioni, si è detto, ma non sono finite le narrazioni, anzi, è cominciato il tempo delle molte narrazioni.
Una democrazia per due (Maria Grazia Campari)
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Tratto da Non nonviolenza femminile plurale, n. 92 del 8 marzo 2007
[Dal sito della Libera Università delle donne riprendiamo il seguente intervento del primo marzo 2007]
Intervengo riprendendo alcuni concetti che sono ampiamente dibattuti fra i giuristi, cercando di allargare lo sguardo, secondo una prospettiva femminista.
Mi riferisco al concetto di democrazia costituzionale come democrazia limitata, conscia del limite, mai statica, che non nega il conflitto (Dogliani).
Un'auspicabile democrazia costituzionale, quindi, autorizza il conflitto, non soffoca e sterilizza i soggetti, è capace di dare forma a contenuti vari. Rappresenta un incentivo alla partecipazione, costituisce utile freno allo slittamento verso forme oligarchiche di democrazia (Azzariti).
Occorre, allora, praticare in radice la scienza del limite; non è più ammissibile, e da tempo, relazionarsi ai problemi dell'assetto democratico, parlando per e di tutti gli uomini ("i diritti dell'uomo" espressione comprensiva di tutte le donne), occorre scomporre l'umanità nei due soggetti sessuati e registrare come essi parlino e agiscano un'esperienza che è comune e, contemporaneamente, anche diversa.
Questi temi appartengono ad un dibattito femminista, rimasto per anni alquanto offuscato.
Abbiamo spesso dovuto constatare la grande distanza che separa le donne dai luoghi della decisione politica ed economica, la loro assenza dalle istituzioni definite rappresentative, con il risultato che la irrilevanza della loro presenza le esclude, di fatto, dalla elaborazione delle regole che costituiscono l'ordine giuridico condiviso, perno della democrazia.
[Dal sito della Libera Università delle donne riprendiamo il seguente intervento del primo marzo 2007]
Intervengo riprendendo alcuni concetti che sono ampiamente dibattuti fra i giuristi, cercando di allargare lo sguardo, secondo una prospettiva femminista.
Mi riferisco al concetto di democrazia costituzionale come democrazia limitata, conscia del limite, mai statica, che non nega il conflitto (Dogliani).
Un'auspicabile democrazia costituzionale, quindi, autorizza il conflitto, non soffoca e sterilizza i soggetti, è capace di dare forma a contenuti vari. Rappresenta un incentivo alla partecipazione, costituisce utile freno allo slittamento verso forme oligarchiche di democrazia (Azzariti).
Occorre, allora, praticare in radice la scienza del limite; non è più ammissibile, e da tempo, relazionarsi ai problemi dell'assetto democratico, parlando per e di tutti gli uomini ("i diritti dell'uomo" espressione comprensiva di tutte le donne), occorre scomporre l'umanità nei due soggetti sessuati e registrare come essi parlino e agiscano un'esperienza che è comune e, contemporaneamente, anche diversa.
Questi temi appartengono ad un dibattito femminista, rimasto per anni alquanto offuscato.
Abbiamo spesso dovuto constatare la grande distanza che separa le donne dai luoghi della decisione politica ed economica, la loro assenza dalle istituzioni definite rappresentative, con il risultato che la irrilevanza della loro presenza le esclude, di fatto, dalla elaborazione delle regole che costituiscono l'ordine giuridico condiviso, perno della democrazia.
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