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Quando nel 2003, durante la seconda guerra del Golfo, l'americana diciannovenne Jessica Lynch cade prigioniera degli iracheni, per liberarla si organizza uno spettacolare irruzione notturna con telecamere al seguito e gran battage mediatico. Per giorni e giorni, su tutte le tv passano le sequenze dell'azione e le centinaia di nastri gialli, simbolo dei "missing in action", appesi agli alberi di sicomoro, agli steccati, ai semafori di Palestine, il paese di Jessica.

Dopo un mese, durante il mio primo viaggio nel Congo orientale (teatro del conflitto più mortale dopo la seconda guerra mondiale), avevo ormai sentito un mucchio di storie orribili: dal cannibalismo forzato ad interi villaggi in cui gli abitanti sono stati bruciati vivi. Non era più facile scioccarmi. Ma uno scambio di battute con una lavoratrice del campo umanitario mi ha freddata.