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Gli ultimi fatti di cronaca legata ai fenomeni di corruzione nelle grandi opere, oltre alla valutazione sulla reale necessità delle stesse, pone sicuramente, con forza, interrogativi e sfide.

Generalmente le forze politiche, basta rileggere i proclami, anche recenti, dei maggiori leaders di partito e movimenti, hanno ridotto l'etica della politica semplicemente al non rubare, al non corrompere o essere corrotti.

Sentenze, aforismi, parole d’ordine. Chi accusa e chi si difende. I lavoratori? In balìa di tutti.

di Mario Pancera

«La parola d’ordine non può essere che questa: disciplina. Disciplina all’interno per avere di fronte all’esterno il blocco granitico di un’unica volontà nazionale», diceva agli italiani, nel 1925, Benito Mussolini, allora capo del governo e ormai padrone del Paese. Il fondatore del fascismo era arrivato al potere, che quasi non se l’aspettava nessuno, visto il tasso di analfabetismo e la scarsissima diffusione dei mezzi di comunicazione. Eppure li aveva avvertiti fin dal 1922, quando in un discorso a Udine aveva sentenziato: «La disciplina deve essere accettata. Quando non è accettata deve essere imposta». La impose e finì in una guerra mondiale: 1940-1945.

Le vicende della politica italiana assumono spesso aspetti contraddittori, talvolta ambigui, che, in qualche modo, certo non aiutano a superare quel senso di disagio e rifiuto che avvolge il mondo dei politici.

Dinanzi alla crisi in cui versa il sistema dei partiti, un tema ricorrente, quasi un “mantra”, è quello dell'insistere sulla “partecipazione”, come se questa fosse il toccasana della crisi, facendo si che ciascuno si attribuisca il patentino di migliore facilitatore della partecipazione, chi praticando le consultazioni nella rete, chi proponendo il sistema delle primarie, chi stampandosi in fronte il numero di consensi ottenuti, come lasciapassare per ogni scelta.

Gli attacchi al Parlamento. La Boldrini ha ragione. In attesa di un decisione dei vescovi
di Mario Pancera

«Quello che è successo è scandaloso e mortificante per l’Italia e per tutti. Io mi sentirei umiliato ancora più di quanto non mi sento già umiliato se l’Italia fosse la fotocopia di quanto è successo in Parlamento», ha detto il vescovo Nunzio Galantino, durante la conferenza stampa che ha concluso il Consiglio episcopale permanente.

Ha fatto presto Berlusconi a innalzare il suo trofeo: queste – ha detto – non sono le riforme di Renzi, sono le mie riforme, che io perseguo da vent’anni, fin dalla mia discesa in campo. E Renzi si è vantato di aver fatto in un mese ciò che gli altri non erano riusciti a fare per vent’anni; gli altri, cioè, appunto, Berlusconi. Sicché non a torto i costituzionalisti, criticando la legge elettorale presentata dai due, e giudicandola peggiore del “Porcellum”, hanno scritto che “l’abilità del segretario del PD è consistita nell’essere riuscito a far accettare alla destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa varata nel 2005 e oggi dichiarata incostituzionale”.

A chi giova continuare a dire che le grandi riforme si debbono fare in modo condiviso e poi procedere invece con proposte che continuano a dividere opinione pubblica, partiti, costituzionalisti?

A chi giova fare scelte che continuano a mettere fra parentesi la concreta realtà italiana, che da venti anni si cerca di “semplificare” con meccanismi costrittivi, che di fatto hanno ridotto ai minimi storici la partecipazione?